giovedì 26 novembre 2009

La Colletta

Sabato c'è la Colletta Alimentare.
Per chi non conoscesse l'iniziativa qui :
http://www.vudiemme.com/bancoalimentare/faq.pdf%20hoho trovato una bella scheda esplicativa.
Qui c'è il comunicato stampa http://www.bancoalimentare.org/Comunicatostampacolletta2009.pdf

"Per raggiungere i suoi obiettivi, il Banco provvede alla raccolta delle
eccedenze di produzione agricole, dell’industria alimentare, della grande
distribuzione e della ristorazione organizzata.
Una volta all'anno, l'ultima domenica di
novembre, provvede alla raccolta di generi alimentari
presso i centri della grande distribuzione nel corso della Giornata Nazionale
della Colletta Alimentare. Conclude poi questo cerchio occupandosi della
ridistribuzione ad enti che si occupano di assistenza e di aiuto ai poveri, agli
emarginati e, in generale, a tutte le persone in stato di bisogno".


Praticamente si tratta di un recupero delle eccedenze di cibo fresco e di cibo cotto, ma non servito, nella ristorazione organizzata (mense aziendali, refettori scolastici, mense universitarie, ospedaliere, società di catering, hotel, etc), o non venduto nei supermercati. Il recupero viene effettuato giornalmente da un centinaio di volontari, attraverso un sistema logistico composto da furgoni refrigerati attrezzati che creano una rete di connessione tra i punti di offerta delle eccedenze e la domanda, sempre più numerosa, degli Enti.

E' un'iniziativa che evita di sprecare, permettendo di rcuperare ed utilizzare come si deve (come si fa in ogni casa per bene) quanto resta sulla mensa. Geniale ed eticamente encomiabile.


Ecco l'elenco dei supermercati convenzionati:
http://www.bancoalimentare.org/Elenco%20punti%20vendita.pdf
Qui da noi, alla Coop, come al solito saranno gli alpini ad occuparsi della raccolta. Gli ex-alpini, è chiaro, dagli anta in sù, sempre gli stessi: rustici, riservati e silenziosi, ma sempre presenti quando c'è da dare una mano.

mercoledì 18 novembre 2009

L'igiene che inquina (naturale continuazione del post precedente)


Di Giorgio Ferigo ( di cui parlo alla fine del post precedente) ho letto la prima volta quando ho aperto la lettera lì in alto. C'era da organizzare una delle feste di valle e c'era il solito problema delle autorizzazioni sanitarie. Tra le righe c'è scritto : "E' parere dello scrivente che la comunicazione debba essere quanto più semplice possibile..." e poi ".... nell'applicazione delle basilari regole d'igiene e delle buone pratiche alimentari - com'è d'altronde nel loro interesse". Incredibile, questo pubblico uffciale, questa temibile autorità sanitaria parla come noi e cita le buone pratiche alimentari, e conclude con un (carico di buon senso e quasi sottilmente ironico) " come è, d'altronde, nel loro interesse".
Mi è rimasto impresso quel nome e quando ho saputo che avrebbe parlato a Malborghetto durante una manifestazione a cui ho lavorato anch'io mi sono presa il tempo per andare a sentire quel che diceva. Era esattamente come me lo aspettavo: sanamente trasgressivo.
Ecco qui alcune cose che ha scritto in merito al suo lavoro:
L’igiene che inquina di Giorgio Ferigo - : L'Ecologist

"Molti cervelli statali e regionali, dopo lunghe cotture, hanno partorito
fanfaluche, baggianate e obbrobri igienici senza raziocinio, adatti a favorire
l’industria alimentare che è l’unica vera causa dei grandi flagelli contro la
salute pubblica degli ultimi cinquant’anni, dalla mucca pazza all’influenza
aviaria.
Mi chiamo Giorgio Ferigo, faccio di mestiere il responsabile
dell’igiene degli alimenti e della nutrizione nella USL dell’Alto Friuli, ma il
lavoro che mi diverte di più è quello di far fuori leggi, le leggi italiche…
molte di loro sono sciocche o imbecilli o molti altri aggettivi che si possono
dire. Anche con alcuni colleghi dell’Emilia Romagna, della Toscana, insomma
dell’Italia, abbiamocostituito un gruppo che si chiama EBP vuol dire Evidence
Based Prevention, la prevenzione basata su prove di efficacia.
Abbiamo fatto una ricognizione e abbiamo scoperto che circa il 25% delle cose che noi facciamo
sono dimostrabilmente efficaci. Il 25% delle cose che facciamo sono dimostratamente inutili e il rimanente 50% delle cose che facciamo nessuno si è mai preoccupato di dimostrare se siano utili o inutili. Abbiamo ottenuto udienza presso il Ministero della Sanità, una prima legge di semplificazione burocratica sta per essere varata dal governo, altre leggi di semplificazione burocratica sono state varate dalla Regione e continuiamo a lavorare adesso anche con la
benedizione del Ministro.
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Preparare cibo da somministrare al prossimo è un diritto soggettivo di ogni cittadino italiano che lo voglia fare. C’è questo diritto, tuttavia è un’attività senza pari, pericolosa più della Luftwaffe o anche più degli Spitfire sui cieli di Dresda. Allora la pericolosità insita nella cottura del cibo o nella mescita del vino rosso costituisce una condizione ostativa all’esercizio del diritto soggettivo. Particolari cautele possono rimuovere questa condizione ostativa. ............
La pubblica amministrazione le scrutina, poi guarda la relazione, fa il sopralluogo e se piastrelle, lavabi, finestre, porte, frigo, bancone, pignatte, cuccume, forchettoni, mestoli, batticarne,
segaossa, taglieri e ceppi sono presenti e vengono dichiarati idonei, la spaventevole pericolosità connessa con la preparazione degli alimenti si intende rimossa o attenuata; le condizioni ostative scompaiono, il diritto soggettivo si ripristina, l’attività si autorizza, e così l’oste può finalmente preparare in tutta calma le polpette all’arsenico da somministrare ai causidici legulei e
burocrati per farne conveniente strage. Questi requisiti igienico-sanitari hanno almeno due importanti difetti.
Il primo difetto è questo: come tutti sanno e come le massaie, rurali e non rurali, sanno, l’igiene non è uno stato, l’igiene è un processo, vale a dire una serie di atti semplici ma ripetuti quotidianamente o più volte al giorno, capaci di eliminare temporaneamente la sporcizia, batteri ecc. Cioè pulisco e rimuovo provvisoriamente la polvere, la terra o quello che c’è, sapendo benissimo che fra un’ora si riaccumuleranno, torneranno a proliferare e io dovrò riscopare, ripulire perché questa è la condizione. Non dipende dalle piastrelle, dipende dall’olio di gomito che è un’altra cosa. Quindi questo non lo può garantire un medico, non lo può garantire il medico della pubblica amministrazione, lo può garantire soltanto l’imprenditore, che i locali facilmente pulibili lavabili e disinfettabili, come dice la legge, siano davvero puliti, lavati e disinfettati.
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In secondo luogo la legge non distingue fra una multinazionale dello yogurt e un’osteria di villaggio o una macelleria di paese. Non distingue fra alimenti deperibili e alimenti sempiterni, come per esempio bagigi; non distingue tra cibi che possono venire consumati fra tre anni a mille chilometri da qui e cibi che vengono consumati nella sala da pranzo accanto alla cucina, cinque minuti dopo, ancora bollenti. Non distingue tra alimenti che hanno un rischio per la salute, che è nullo o basso, e alimenti che hanno un rischio per la salute, che è elevato o altissimo. Allora è davvero facilissimo arguire che la salubrità degli alimenti non dipende dai metri quadri di piastrelle e dall’acciaio inossidabile dei banconi, dipende dall’uso ripetuto dello Spic e Span e dalla cura nella preparazione e conservazione degli stessi.
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Così l’autorizzazione sanitaria è una pratica di clamorosa inutilità, un controsenso
logico, a meno di non mettere alle spalle di ogni operatore alimentare un
poliziotto che giorno dopo giorno verifichi che le condizioni ostative siano
davvero rimosse, non serve proprio a niente. Milioni di poliziotti per milioni
di esercizi.
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Ho scoperto poi, quando è mancato, che Giorgio Ferigo era, oltre che medico anche musicista, poeta, narratore, storico e storico dell'arte.
Avrei dovuto immaginarmelo, che uno così non era normale.

P.s. La lettera là sopra conclude con "Porgo distinti saluti". Sottinteso io, non un'autorità nascosta dietro il paravento della legge, io, Giorgio Ferigo, porgo , porgo è umile come termine, non è burocratico... quelle lettere lì di solito si concludono con distinti saluti, non porgo niente, sei tu che mi porgi i tuoi omaggi, umile cittadino che ha bisogno della mia autorizzazione. Bello analizzare le parole, scopri i caratteri.

martedì 17 novembre 2009

Farina di mais

In questo periodo di stallo che precede il Natale, ogni anno mi piace prendere il tempo per andare a cercare nuovi prodotti, quelli difficili da trovare e soprattutto difficili da farsi vendere. Come al solito, anche quest'anno ho sbattuto il naso contro una bella realtà che mi ha fatto scendere dallo scranno del consumismo. Sono lezioni che periodicamente fanno proprio bene.

Cercavo una buona farina di polenta, gustosa. Un'amica che lavora nelle Terre Alte della Carnia mi ha promesso da tempo di accompagnarmi da un suo amico, uno che aveva un'occupazione ben diversa e che da qualche anno sta continuando il lavoro dei suoi vecchi: ha lasciato scrivania e computer per mettersi a macinare mais.

Già all'inizio, se ti aspetti un'atmosfera da favola, ti ritrovi a sbattere davanti alla più schietta autenticità. Non si vende aria, si vende farina di mais macinata, mais scelto che proveniene dalla campagna intorno a Fagagna e che poi viene portato in Carnia per il consumo locale. Punto. Niente di trascendentale, nè di folkloristico.

In un luogo dove si mangia la polenta più volte alla settimana questa deve essere per forza eccellente. E per essere eccellente deve essere macinata con cura, senza fretta. Il luogo è rimasto come nel 1500, escluso il motore applicato alla macina più grande. Si scende uno scalino per entrare. Vicino alla finestra è appeso un quadro, una foto in bianco e nero. Si vede la macina, appeso al soffitto c'è un fanale, a lato c'è una casetta in legno per gli uccellini, davanti il mugnaio alto e con dei gran baffi, dietro, sui sacchi, un apprendista. La stanza è rimasta la stessa, hai la sensazione di un dejavu che dura più secondi. La macina, il fanale tutto bianco, la casetta con le ragnatele, bianche pure quelle. Davanti c'è il mugnaio, un po' più in carne ( una vita davanti alla scrivania non si cancella così facilmente), un po' più basso ( avrà ereditato la genetica del ramo materno), altrettanto tranquillo.

Quando chiedo se invece di sacchetti da due chili, che mi sembrano veramente grandi, data la dimensione delle famiglie che ho attorno, potrei acquistare sacchetti da un chilo, scuote la testa, senza perdere il sorriso. Sembra stia spiegando cose difficili ad una bambina dell'asilo, si vede che spera di farsi capire.

"Non posso... vedi, mentre la macina lavora, la farina scende e riempie il sacchetto. Mentre si riempie io ho il tempo di chiudere e legare il sacchetto precedente. Se dovessi fare sacchetti più piccoli, dovrei interrompere la macina oppure dovrei correre e rischiare di far le cose male. Meglio di no, con il sacchetto da due chili si fanno tre polente per quattro persone, è la dose giusta" .

E io ero decisa a farlo correre... per fare più sacchetti ed aumentare la produzione e poi dover trovare nuovi clienti per vendere tutti quei sacchetti, e poi prendere un aiutante, che non sa usare la macina e non macina giusto, e poi ... e poi via a cercare un altro mugnaio, di quelli di una volta,se ce n'è ancora, e via a stressarlo perchè mi venda il suo prodotto.

Per fortuna il mugnaio è uno con i piedi per terra. Io i piedi per terra invece non li ho, perchè non ho parlato del prezzo del suo prodotto e ho anche detto che mi piace. Due cose che chi acquista non deve fare mai, perlomeno secondo una certa teoria. Quindi in primavera venderò con allegria la sua polenta e se sarà costosa lo spiegherò a chi vorrà comprarla: è fatta con calma e il tempo costa :-)

E' stato proprio un bel lunedì e ringrazio Renata che mi ha portata a spasso: ho trovato una pancetta arrotolata che sembra burro e un burro che sembra panna, dei fagioli introvabili e dei crauti acidi senza cumino, " su per le Austrie mettono il Kummel, qui no, si fa senza".
Sono stata anche nel paese di Giorgio Ferigo, ma questo è un altro discorso, è un discorso troppo importante per iniziarlo adesso. Dico solo che se quel mugnaio può fare quello che fa in quel luogo e in quel modo, e quel ragazzo può vendermi un burro fatto nello stampo di legno con i fiori, buona parte del merito va al dottor Giorgio Ferigo, dell'ASSL Alto Friuli - servizio controlli alimentari.
Peccato che non sia più tra noi.

La foresta


A chi mi ha scritto per chiedermi se avessi commesso un reato a raccogliere e portare a casa i rami d'abete bianco (di cui parlo qui http://dawit-benvenuta.blogspot.com/2009/11/i-rossi-gerani-parigini-orgoglio-di-mia.html ) invio un post rasserenante: non ho "rubato" niente, i rami erano a terra e il proprietario della pianta mi aveva autorizzato a portarli a casa.
In realtà in questi casi c'è realmente il rischio di andare contro la legge, in particolar modo se non si conosce la storia millenaria della nostra foresta.




Nel 1007 l'imperatore di Germania Enrico II il Santo donava il territorio
della Foresta di Tarvisio al Vescovado di Bamberga, in Baviera. Il
principato ecclesiastico di Bamberga durera' sette secoli e mezzo, sino al 1759
quando sarà acquistato da Maria Teresa Imperatrice
d'Austria. Durante tale periodo, nacquero i cosiddetti "diritti di servitù", concessioni quasi gratuite di pascolo,
legnatico, ecc. del signore feudale alle popolazioni locali, per garantirne la
sussistenza.
Dopo il periodo
bamberghese seguì un ciclo travagliato da invasioni e da guerre, che culminarono
con le battaglie napoleoniche. Nel corso del 1800 la Foresta passa in proprietà
di numerosi nobili sino a quando il Governo Austriaco, preoccupato per la
pesante deforestazione conseguente ai frequenti passaggi di proprietà e motivato
dalla necessità di garantire la tranquillità sociale in un'area di confine
militarmente importante, riacquistò il territorio e ne affidò la gestione a
tecnici forestali statali. Alla fine del primo conflitto del 1915-18, in
base al Trattato di pace di San Germano dell'anno 1919, la Foresta passò
all'Italia e fu affidata al Demanio dello Stato Italiano.
Con gli
accordi Lateranensi, i patrimoni dei fondi di religione ex austriaci furono
uniti ai patrimoni economali italiani per costituire un'azienda amministrata dal
Fondo per il Culto, dipendente ora dal Ministero dell'Interno. Con la revisione
dei patti lateranensi nel 1985 fu istituito l'attuale Fondo edifici di Culto,
che amministra tutte le proprietà ex ecclesiastiche pervenute allo Stato
Italiano.

Informazioni più dettagliate qui:
http://www.interno.it/mininterno/export/sites/default/it/sezioni/ministero/patrimonio_fec/patrimonio_boschivo/scheda_17009.html e una relazione sull'ambiente qui:
http://www.aisf.it/AttiCNS/pdf/volume%203/3.06%20Faidiga.pdf

Di tutta questa bella storia la cosa più interessante è proprio la conservazione di questi diritti di servitù.
Nascono dalla particolare lungimiranza di chi aveva in mano le redini economiche dell'impero. Lungimiranza difficile da incontrare nei politici d'oggi, che spesso "confondono capricci con diritti" e non riescono ad arrivare al nocciolo delle cose e dimenticano che l'ambiente dove viviamo non è nostro ma è dei nostri figli.
Il diritto di servitù è in pratica un "aiuto" economico pensato per chi vive in un luogo più disagiato, dal punto di vista ambientale, rispetto ad altri.
Attualmente ogni casa ( quindi è la casa che ne gode: se vendi la casa, vendi anche il diritto di servitù) riceve gratuitamente ogni anno una quantità determinata di legname da ardere o da costruzione. La quantità varia in base al volume della proprietà cui questo diritto è destinato. E' possibile richiedere l'assegnazione di più annualità in un unico anno, ad esempio quando ci sono dei lavori di manutenzione straordinaria. Il diritto di servitù ti viene assegnato attraverso l'organismo del Corpo forestale dello Stato, che decide quali siano le zone per il disboscamento.
A primavera ogni avente diritto va nel bosco con le guardie forestali dove gli viene mostrata la zona di prelevamento del suo legname. Ogni pianta che gli viene assegnata viene segnata con un martelletto governativo: quella pianta potrà essere abbattuta e da quel momento è sua. Questo rito si chiama appunto martellatura e andare a martellare significa seguire i forestali e sperare che le piante assegnate si trovino in luoghi facilmente accessibili. I rami d'abete che ho portato a casa provenivano da una di quelle piante.
La martellatura è comunque un evento, che la maggior parte delle volte finisce con una merenda/picnic a base di pane, salame e vino.
E' chiaro che chi non ha la capacità di portare le piante a casa, affidi ad imprese specializzate questo lavoro. Spesso questa scelta comporta un costo quasi uguale al valore del legname stesso, tutto ciò però crea occupazione e quindi porta comunque ricchezza al territorio.

E' sottinteso che la casa con diritto di servitù deve essere abitata: se il camino non fuma niente servitù. Soltanto le case originali, quelle più antiche, godono di questo diritto. Mia nonna in passato ( ed oggi mia sorella) ha goduto di questa agevolazione. Nessun altro della mia famiglia, vivendo tutti in case di recente costruzione, può accedere a questo diritto.

Gli aventi diritto di servitù sono riuniti in un'associazione detta Vicinia. A Camporosso la sede del Consorzio Viciniale è una casa nel centro del paese ed è anche il luogo dove si incontrano le altre associazioni del paese, il posto dove la Banda fa le prove, dove si preparano i fiori per la Maja. E' il luogo dove spesso si litiga, certo, ma dove soprattutto ci si incontra, si parla, si crea la comunità.

Una standing ovation a Maria Teresa d'Austria, è stata sua l'idea.

martedì 10 novembre 2009

Sprazzi di sommelier

In questi giorni è arrivato il novello.
Ne avevo già parlato qui http://dawit-benvenuta.blogspot.com/2009/03/vino-novello-e-meringhe.html .
So che parlare di vino novello (e degustare vino novello) è andare controcorrente.
Il novello è considerato un vino di second’ordine, una porcheria zuccherata per chi non capisce niente.
Una volta che si è capito che in realtà non è un vino, tutto diventa più chiaro.
Vorrei parlarne per capire assieme cos’è e come si produce un vino novello e anche per capire perché ci sono in commercio prodotti che del novello non hanno nessuna caratteristica.
E poi mi piacerebbe si potessero riconoscere, questi prodotti, anche se la legge che regola la materia è talmente nebulosa da lasciare spazio ad ogni possibile variabile.

Come si fa il vino novello?
Per fare il novello si usa il grappolo intero. L’idea era venuta nel 1934 ad alcuni ricercatori francesi: l’obiettivo era quello di cercare di conservare l’uva per poterla utilizzare in tempi diversi. I ricercatori hanno provato a conservare dell’uva fresca in anidride carbonica, in completa assenza di ossigeno: l’uva è fermentata ugualmente, quindi l’esperimento non è riuscito, ma il succo che ne hanno ottenuto era una cosa completamente diversa dal vino.
Ancora oggi usiamo lo stesso procedimento per ottenere un vino nuovo, quello giusto da abbinare alle castagne.
I grappoli freschi quindi vengono posti all’interno di apposite vasche in inox da 50 – 70 hl, nelle quali, dopo aver prodotto il vuoto d’aria, viene immessa anidride carbonica, a una temperatura controllata di 30° C.
Questo processo dura dai 7 ai 14 giorni. In questo modo la fermentazione del mosto non avviene nell’aria, come al solito.
I lieviti che normalmente fanno fermentare il vino hanno bisogno dell’aria per agire: niente aria e i lieviti si bloccano. Ma niente paura, il vino fermenta ugualmente e a farlo fermentare in assenza di aria sono gli enzimi contenuti nel mosto.
I grappoli che si trovano sul fondo delle vasche vengono schiacciati dalla massa d’uva e in questo modo liberano il mosto. I lieviti indigeni migrano dalla buccia verso l’interno, alla polpa, alla ricerca di ossigeno ed acqua, innescando un processo di fermentazione intracellulare.
Poi si procede con una pigiatura molto delicata e un’ulteriore fermentazione di 3-4 giorni.
Perché si fa tutto questo?
Per avere un vino con sapore, colore, profumo caratteristici.
Infatti in questo modo:
a. vengono estratti i pigmenti delle bucce dell’uva che danno il colore al vino (il vino che ne risulta avrà un colore particolarmente brillante, con tonalità che ricordano il porpora, a volte il violetto, bello da vedere)
b.vengono estratti gli aromi localizzati nelle bucce dell’uva, molto fruttati: si svilupperanno nuovi componenti odorosi, che ricordano principalmente la fragola, il lampone ed il mirtillo
c. diminuisce l’acidità ed il vino risulterà più delicato.

Questo vino particolare è stato disciplinato per legge nel 1999, relativamente poco tempo fa; il processo sopra descritto si chiama macerazione carbonica, una tecnica che tende ad esaltarne le caratteristiche di freschezza e le note fruttate.
La gradazione minima del vino novello è di 11%, il termine ultimo per l’imbottigliamento è il 31 dicembre dello stesso anno della vendemmia, mentre la messa in vendita non può avvenire prima del 6 novembre.
Fin qui tutto chiaro, la cosa si complica seguendo le norme di produzione.
La legislazione prevede che affinchè il vino possa essere chiamato novello, debba essere prodotto con il processo della macerazione carbonica per almeno il 30% dell’uva, mentre il restante 70% può essere vinificato con il metodo tradizionale ( mentre il Beaujolais, che è il vino novello francese, richiede il 100 % di uva vinificata con la macerazione carbonica).
Non solo, per il 55% del prodotto la legge consente l’utilizzo di vino rimasto in cantina un anno prima, e si potrebbe avere il sospetto che i produttori sfruttino il fenomeno per l’economia dell’azienda.

Questo è il vero problema del novello: quanta uva fresca viene impiegata e quanto vino dell’anno scorso c’è, in percentuale, nel vino che acquistiamo?
Tutto lì. Quindi non generalizziamo parlando del novello, se il novello è ben fatto è un prodotto delicato e curioso, fresco ed interessante. E date le caratteristiche non può assolutamente costare meno di quattro euro a bottiglia.
E’ difficile trovarne uno ben fatto. Purtroppo le leggi del mercato hanno fatto sì che venisse proposta una serie di prodotti di qualità non eccellente, di scarsa personalità, e quindi non c’è neppure più una reale domanda d’acquisto. Peccato, perché era una bella idea: abbastanza leggero per chi ha problemi di digestione, indicato per le persone anziane, giusto da bere in compagnia una domenica pomeriggio, sbucciando caldarroste.
E come scriveva il dottor Barnard:

"Il vino rosso stimola la produzione di enzimi che rendono il sangue fluido,
aumenta il colesterolo “buono” nel sangue, riduce lo stress, per cui
contribuisce a prevenire arteriosclerosi e malattie cardiovascolari"

Christian Barnard

Ma quanto, dottor Barnard, quanto vino, non lo dice? :-)

In alto la grafica dello striscione che ho appeso fuori dall'enoteca: 6 metri per uno, mica ci vergogniamo a dire che vendiamo novello :-))

sabato 7 novembre 2009

Rami d'abete

I rossi gerani parigini, orgoglio di mia madre, si sono gelati. Sono diventati scuri scuri, sui balconi sembrava ci fosse una grande esposizione di verdura cotta. Quindi sabato gran lavorio familiare per buttarli via.
I balconi, prima rigogliosi di colore, alla fine sembravano in manutenzione.
Via allora, a cercare rami d'abete per portare un po' di colore in quella desolazione.
Ma i rami d'abete giusti da mettere sui balconi, i più belli, sono quelli dell' abete bianco, che oltre che essere difficile da trovare non è neppure molto accessibile. E' un bene dello stato e (come i funghi) è protetto. E' molto decorativo perchè ha i rami carnosi, argentati nella parte inferiore, sono quelli giusti per fare delle belle corone d'avvento.
Però, guarda com'è la vita.
Domenica parto per la mia camminata mattutina. La domenica la passeggiata è più lunga, arrivo fino a Valbruna, dove compro i krapfen freschi per rendere più allegra la colazione della festa al mio ritorno a casa. A Valbruna c'è Manuela che mi aspetta: con lei ho lavorato al Valbruna Inn e lei lavora ancora lì, apre prestissimo il bar e mi aspetta per berci un caffè e tenerci aggiornate sulla vita. Le racconto che vorrei andare a prendere un po' di rami da mettere sui davanzali .
E' lì, all'alba, che un boscaiolo che sta andando a a lavorare nel bosco mi dice che ha "sramato" proprio pochi giorni prima un bell'abete bianco e che le fronde sono freschissime e sono ancora lì a terra. Mi ha spiegato con dovizia di particolari ( "prima della curva a U, NON a destra che poi ti perdi, ma su a sinistra dopo il torrente, solo cento metri a piedi da dove termina la strada") dove ha lasciato quelle belle fronde. Ho fatto fatica a seguire il suo percorso, a figurarmi in mente i posti che mi stava descrivendo, cercavo di concentrarmi bene, ... ma l'inconscio mi diceva che in fondo in questo periodo è tutto nascosto sotto un tappeto di foglie dorate e non riconosci i sentieri, e ti perdi sì ...

Il giorno dopo avrebbe nevicato, le previsioni erano attendibili al 90 per cento, e quella domenica era splendida di sole e colori, dovevamo andare di corsa in bosco.
Appena pranzato siamo partiti alla ricerca del fantomatico luogo. Mio marito mi vedeva poco sicura nel dargli indicazioni, si vedeva che brancolavo un pò cercando di ricordare parola per parola del percorso che mi era stato descritto.
Poi, dietro una curva, a lato del sentiero, quei bei rami.
Ci siamo sporcati come bambini a correre su e giù con gli stivali nell'argilla: fango e aghi dappertutto, rischiando di scivolare in continuazione. Bei rami, pieni e freschi. Sono tutti sui davanzali, assieme a bacche rosse e spighe, a cercare di rallegrare un po' il grigiore che ci accompagnerà fino a primavera. Il Doblò profuma ancora di resina.
Domattina offrirò un caffè a quel boscaiolo: rimarrà stupito anche lui del fatto che sia riuscita a trovare quel posto. Non gli sembravo molto concentrata.

martedì 3 novembre 2009

Nuovi proverbi


"Se nevica in Colorado, due giorni dopo nevica a Camporosso"

Ogni volta che Jan sul suo sito http://justimagineheaven.blogspot.com/2009/10/snow.html ci racconta che lì sta nevicando, non passano due giorni e ci svegliamo sotto una bella nevicata . E' un'anno che seguo quel blog ed è successo ogni volta : credo che la adotterò come un'opportunità diversa per avere delle previsioni del tempo attendibili.
Buon inverno a tutti!