domenica 31 gennaio 2010

Funivia del C-Kanin


Quando hanno trasportato dall'Austria le cabine della nuova Funivia del Monte Canin, è stato un evento: l'autista, a causa di un disguido all'uscita dell'autostrada, ha sbagliato strada e quindi ha girato la valle in lungo e in largo ( e in largo c'è poco da girare con un carico così imponente) e si è fatto notare un sacco. Davanti all'enoteca è passato tre volte: se voleva essere un giro promozionale è riuscito molto bene.
La Funivia del Canin è la prima funivia transfrontaliera,in collegamento con la Slovenia ed è stata inaugurata il 7 gennaio di quest'anno. Qui di seguito, dal giornale locale, qualche polemica e una serena "alzata di capo" di Alessandro Piussi.
FUNIVIA I valori naturali della montagna

Questa è una mia ipotetica lettera indirizzata a un grande alpinista, il mitico Ignazio Piussi, riguardante il nuovo impianto trasfrontaliero della Promotur. Caro Ignazio, ti scrivo perché volevo dirti che le sorprese non mancano, esse possono riuscire alle volte deliziose o no, e purtroppo conoscendoti so che questa volta non ti faranno piacere, ma addirittura arrabbiare. Come ogni anno, sono ritornato a fare il percorso che spesso facevamo insieme, da Sella Nevea a Golovec e poi su fino in cima al Canin. Ho ripetuto l’itinerario a te molto caro, però questa volta ti confesso ho impiegato più del solito, come sai l’età avanza: i battiti aumentano e il respiro è più corto, le forze diminuiscono e i tempi si allungano. O forse è stata la distrazione a guardare lo scempio realizzato dalla Promotur? Tu non lo puoi sapere, perciò ti informo che la Promotur ha inaugurato la funivia che collega Sella Nevea e Plezzo. Non so di preciso quanto sia il costo complessivo, comunque lo stimo intorno ai 17 milioni di euro. Tutto denaro pubblico per realizzare un megaimpianto che sarà utilizzato dai soliti ricconi. La Promotur, con la complicità dei politici di turno, continua a fare i propri interessi, come ha sempre fatto in precedenza per gli impianti del Piancavallo, del Lussari, dello Zoncolan, del Varmost, in fondo le spese di mantenimento le pagano sempre i contribuenti. Come sai, i politici sanno gestire bene i propri affari, conoscono il mondo del business immobiliare e finanziario e di comune accordo finiscono sempre per orientare le loro decisioni in tal senso. Penso che i politici saranno tra i primi a usare tale impianto transfrontaliero. Loro sì, possono permettersi una gita in montagna con tutta la famiglia e di pagare uno skipass di circa 28 euro che è pari a tre/quattro giorni di vita di un pensionato. Mentre chi fa fatica a vivere, e credimi oggi sono tantissimi, invece non potrà mai permettersi il lusso di andare né in montagna né tanto meno in funivia. Così come chi deve aspettare mesi in lista d’attesa per gli esami clinici, essendo costretto a vivere con ansia per conoscere le proprie condizioni di salute, non sarà sicuramente invogliato ad andare in funivia. E così via. Come vedi, caro Ignazio, i politici non cambiano mai. Presi dal delirio di onnipotenza e nell’indifferenza generale, a loro non può importare un bel niente se tanti cittadini si trovano in vero stato di bisogno o di disagio, come non interessa loro se l’ambiente della montagna perde gli alti valori naturali, perché, come tanti, di fronte ai profitti hanno «perso il senso della sacralità e dell’amore della natura» come scrisse Carlo Sgorlon. La loro cultura del turismo s’ispira sempre a far star bene i ricchi e i politici, più che a difendere i poveri e il territorio naturale. La giornata era invitante, lo spessore della neve lungo il sentiero non era molto consistente e compatto come l’anno scorso, comunque sempre abbondante. Ti ricordi il pezzo di cirmolo rimasto fulminato di sella Golovec, dove andavano a strigliarsi il pelo i camosci e lo spiazzo dei mughi, dove vicino ci si sdraiava nell’abbraccio di madre natura e padre cielo? Ecco, non ci sono più. Ti ricordi il branco degli stambecchi, quando aspettava che il capo adulto finisse di coprire tutte le femmine? E quale forza, furia e grazia ci metteva? Tutto questo non c’è più. Mi sono anche fermato un po’ nella speranza che ritornasse almeno qualcuno e invece nessuno, non ho visto né sentito nemmeno gli uccelli rapaci, forse disturbati dai tanti fili o dalle grida umane. La Promotur si è appropriata anche il visibilio delle stelle e il tuo paradiso terreste è scomparso. Caro Ignazio, il tuo “regno” è molto cambiato dalla tua ultima visita: ora si vedono tralicci, piloni, funi, cavi metallici, si sente il cigolio del passaggio delle cabine con dentro i Vip. Giù, “nella valle di lacrime”, i poveracci sanno che il paradiso bisogna meritarselo: faticare, sudare e soffrire; invece i ricconi e i politici irresponsabili, pieni di sensi di colpa, ci vanno “in paradiso” seduti in funivia con l’aria climatizzata e un domani, per essere più liberi, non è escluso che costruiranno un’autostrada con parcheggi e andranno in Suv, oppure in elicottero. Stai in pace e da cuore a cuore con affetto ti saluto, il tuo devoto allievo. Pio Paolo Romanello Udine



VAL RACCOLANA
È un sogno che si realizza

Sono un abitante della Val Raccolana e scrivo per rispondere al signor Pio Romanello. Quando sento definire la mia valle “valle delle lacrime” mi sento salire dentro una rabbia... Tanto per cominciare come si permette lei di dire i poveracci della “Valle delle lacrime”. Mi sento offeso perché quella che lei chiama “Valle delle lacrime” era chiamata così 50 anni fa quando la gente costretta dalla miseria emigrò in altri Paesi in cerca di lavoro, ma oggi è un paradiso e io che ci vivo ne sono convinto e lei, che penso, abiti a Udine o dintorni ci può solo invidiare. Non so chi sia più poveraccio se io che vivo in mezzo ai boschi o lei che vive in mezzo allo smog...
I poveracci che vivono “giù nella valle delle lacrime” sanno benissimo che il paradiso bisogna meritarselo, ma noi un pezzetto qui sulla terra ce l’abbiamo già. Molti di noi lavorano per la Promotur e vedono i Vip ma anche le persone – che tutta la settimana sudano, faticano, soffrono – passare in funivia e finalmente si rilassano e si godono lo splendore delle nostre montagne e si divertono sulle nostre piste da sci. Per i poveracci della “valle delle lacrime” il collegamento con Plezzo è un sogno che si realizza dopo 40 anni e noi poveracci ringraziamo i politici che hanno sostenuto tutto ciò.
Poi per essere un po’ pignolo (non sono un botanico, ma ho un’infarinatura di agraria e ho sempre amato e vissuto la mia valle da cima a fondo) posso dirle che il cirmolo non l’ho mai visto, (non è che si sia sbagliato di valle?), e gli stambecchi nella zona del Canin sono stati introdotti e non da molti anni.
E a proposito dello scempio fatto dalla Promotur per realizzare il collegamento, noi poveracci della “valle delle lacrime” sacrifichiamo volentieri qualcosa delle nostre stupende montagne perché tutti possano goderne.
A questo proposito mi chiedo perché una persona debba appigliarsi a un personaggio che riposa in pace tra le sue montagne per fare un po’ più di scalpore, perché tirare in ballo Ignazio Piussi per contestare una cosa che a lei non piace. Sa, io sono un parente e compagno di caccia di Ignazio, e posso dirle con certezza che il suo cuore avrebbe sofferto per la montagna, ma sarebbe stato orgoglioso di vedere realizzato il progetto della funivia per il collegamento con Plezzo, e le posso dire con certezza che il giorno dell’inaugurazione Ignazio sarebbe stato l’ospite d’onore.
Alessandro Piussi
Saletto di Chiusaforte

venerdì 29 gennaio 2010

Notte.


Stasera ci sarà la più bella luna piena di tutto l'inverno.

Lavori in corso/3



I lavori stanno proseguendo alacremente, purtroppo le temperature sono costantemente sotto zero e non permettono ai materiali di asciugare in un tempo breve.
Abbiamo terminato di intonacare i muri, dalla prossima settimana si posano le piastrelle. Intanto stanno arrivando le attrezzature: ci consegneranno prima frigoriferi e lavastoviglie, lavelli e lavabicchieri, poi in un secondo tempo tavoli e sedie.
Per portarmi avanti con i lavori ho trovato da Scampoli & Scampoli la quantità equivalente (quasi) all'area di un campo sportivo di quel tessuto a quadretti là sopra: era in offerta e mi piaceva molto l'effetto country che se ne potrebbe ricavare ( l'immagine successiva è il banner di un sito di arredo yankee). Ci faremo cuscini e tende, c'è lavoro per tutti; Claudia ha una splendida macchina da cucire, che faremo arroventare.
Ho terminato anche il corso per Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione: chi è datore di lavoro è responsabile di tutto quanto accade a dipendenti e clienti e per capire come agire c'è un corso di 16 ore, con esame finale. Fra i partecipanti io ero fra quelli che corrono ( e fanno correre) meno rischi. Gli altri si occupavano di cantieri, di produzione e distribuzione di energia, di segherie. Una passeggiata, quindi.
Ho terminato anche il corso HACCP, che significa Hazard Analysis Critical Control Points, cioè analisi dei punti critici di controllo, al fine di evitare le contaminazioni alimentari. Anche questo corso è obbligatorio per chiunque opera con alimenti, sia nella preparazione che nella somministrazione. E' un corso che insegna come evitare intossicazioni alimentari, e poi insegna come procedere per effettuare una detersione, una sanificazione e una disinfezione degli ambienti che sia efficace. Buona parte del corso tratta argomenti che il buon senso già sa come portare avanti, anche se a volte si raggiungono livelli di eccellenza, come quando si consiglia di lavare sempre ogni verdura con l'amuchina, cosa che a casa, e lo dico cospargendo cenere sul capino, non ho assolutamente intenzione di fare.
Ho imparato una cosa nuova: non sono necessari 5/6 detersivi-sanificatori-disinfettanti diversi per l'igiene di un luogo pubblico, ma con la vecchia puzzolente, economica, varechina si può fare tutto, utilizzandola in dosaggi diversi. Per me è stata una rivelazione: i detersivi industriali, un vero businnes, sono carissimi e vengono forniti in fustini da minimo 5 litri ( con difficoltà nel maneggiarli e conseguente eccesso di utilizzo nelle quantità , da cui sprechi e inquinamento). La varechina è il lisoform quando devi disinfettare ed è l' amuchina quando devi risciaquare, il principio attivo è lo stesso. E non inquina, o perlomeno inquina molto meno di ogni altro detersivo.
E poi : si può usare l'aceto per l'igiene dei vetri!
Dieci anni fa, quando questa analisi è nata e quando avevo frequentato i primi corsi, la situazione era ben diversa, direi criminale, dal punto divista dell'ecologia e dello spreco di risorse. Quindi questa è una bella notizia. E se varechina-ipocloroto-lisoform-amuchina puzzano, si apre la finestra.
Buona parte del merito di questo percorso in positivo va ancora una volta a Giorgio Ferigo.

mercoledì 27 gennaio 2010

Care Signore/Loretta Busettini

Lunedì sera ci siamo ritrovati in tanti a pregare con la famiglia di Luca, nella chiesa di Camporosso. C'era anche Loretta con la sua famiglia. Ecco chi è:

La sua storia
Nasce a Coccau, l'ultimo paese prima del confine con l'Austria, seconda di quattro fratelli, il 20 ottobre 1956. Dopo la Maturità al Liceo scientifico “Magrini” vive esperienze lavorative di tipo diverso sempre a contatto diretto con il pubblico. Nei primi anni ottanta il fratello Alberto la avvia alla montagna, prima Loretta si dedicava solo allo judo. Inizia a scalare con lui, la prima uscita la ricorda bene “…sul Rio Bianco, è stato come realizzare un sogno, nato quando, alla biblioteca delle Scuole Medie, leggevo i libri di Buhl, Desmaiso, Bonatti”. Da lì si apre un nuovo capitolo nella sua vita, l’ambiente in cui vive acquista una nuova dimensione.
Nel 1979 c’è un concorso per impiegati nell’ambito del Comune di Tarvisio, lo vince ed inizia il percorso che ancora oggi sta compiendo all’interno del Municipio, percorso che l’ha portata dapprima in ragioneria, poi al ruolo di messo, al protocollo, all’accoglienza ed oggi in segreteria. E’ sposata con Graziano Vuerich, ha due figli, Gregorio e Noemi, e vive a Coccau. Le piace leggere, di tutto, in particolare libri di montagna.

Il suo percorso lavorativo
Forte delle basi culturali del Liceo Scientifico, dove ha “imparato ad imparare” Loretta si è calata in tanti ruoli diversi: ha venduto materiali per l’edilizia, parlando soprattutto in tedesco, è entrata nel mondo della previdenza vendendo contratti assicurativi. Ogni volta si è rimessa in gioco, apprendendo. Anche il suo percorso in Comune è all’insegna dell’ “imparare”: prima la contabilità degli enti pubblici, di cui era completamente digiuna, le notifiche, il protocollo, ora le funzioni assistenziali del Comune, i compiti di Segreteria. Negli anni in cui è stata messo comunale ha imparato anche le scorciatoie dei percorsi stradali del Tarvisiano: l’abbiamo vista tante volte sfrecciare alla guida della Panda bianca del Comune, tantissimi riccioli neri dietro il volante, con qualsiasi tempo , in lungo ed in largo lungo la Valcanale. Negli ultimi anni è rientrata in Municipio all’Ufficio Relazioni con il Pubblico dove ha approfondito le tematiche della relazione frequentando dei corsi di comunicazione “molto interessanti e soprattutto molto utili. E’ stato stimolante cercare di concretizzarli poi nel mio lavoro”. Attualmente è all’Ufficio Segreteria.

Una passione
Non si può definire una passione, è un suo modo di essere. E’ un naturale atteggiamento di accoglienza, che è la prima cosa che si nota in lei. Prima di tutto sa ascoltare, e in un ufficio pubblico ciò è una variabile fondamentale. E poi, con una sorta di empatia, sa immedesimarsi nel tuo problema e cerca di risolverlo. Sia che le si chiedano delucidazioni sui procedimenti della segreteria, sia che ti consegni una multa nel suo ruolo di messo comunale, si trova sempre in lei una persona che non è “contro”, ma che senti “dalla tua parte”. L’utente, che spesso arriva prevenuto, si trova davanti questa signora minuta, riservata, di poche parole, che per prima cosa ti guarda dritto negli occhi e poi ti rivolge la parola con tono misurato e paziente e vedi che si sforza di essere esauriente nella risposta. Un miracolo, nella sua normalità. Un mito da sfatare: quello del burocrate indisponente. Saranno gli occhialini da Harry Potter, sarà che sembra una ragazzina, ma se si arriva da lei che si è nervosi , metà della stizza passa subito. Forse è proprio per questo che i corsi di comunicazione le sono piaciuti. Potrebbe andare a insegnare lei.

Un pensiero
Loretta ha amato la montagna anche attraverso la passione che suo fratello Alberto, da poco mancato proprio in un incidente in vetta, le ha contagiato. Ma è una passione che non ha voluto tenere per sé.” Mi sono resa conto che in montagna è meglio, per varie ragioni, ,andare in compagnia e poi quando qualcuno, con il quale condividi la passione ti accompagna, è come raddoppiare il piacere di andare. Ho pensato che fra le tante cose che reputo importanti fra quelle da trasmettere ai miei figli, c’era anche questa. Quale modo migliore per regalare ai miei figli una passione, se non far nascere un gruppo dove potessero stare con i loro amici ed allo stesso tempo divertirsi ed imparare i segreti delle montagne?” Con questa convinzione quindici anni fa ha iniziato, insieme ad altri amici appassionati di montagna, ad organizzare corsi di alpinismo-giovanile. Un impegno non facile, di grande responsabilità. E’ grazie alla costanza e alla dedizione del gruppo di volontari di cui Loretta fa parte se molti dei nostri ragazzi hanno scoperto che si può stare insieme e divertirsi andando in vetta. “I nostri genitori non avevano né il tempo, né le conoscenze per farci amare la montagna. Un tempo la montagna era vista solo come luogo di lavoro, di fatica, non certo un luogo dove divertirsi. Invece oggi camminare, scalare, vedere sempre orizzonti diversi può diventare uno stile di vita, un‘opportunità in più per esprimere sé stessi in mamiera naturale e non consumistica. E poi per vivere in maniera appagante in un territorio, quale il nostro, spesso considerato inospitale, forse anche un po’ grezzo culturalmente, ma proprio per questo, quando trovi una tua misura per viverlo, vuoi mettere la soddisfazione? Non ho mai desiderato vivere in un altro luogo".

mercoledì 20 gennaio 2010

Mimetizzazioni.

Lontano, dietro il Mangart sta tentando di spuntare il sole. E' l'ora più fredda del giorno, ci saranno dieci gradi sotto zero.

Cammino guardando a terra, il percorso è gelato. Da lontano si sente un rumore diverso, non è il solito camion o un'automobile. Mi giro a guardare. Ha i cingoli e un rimorchio, anche questo con i cingoli. Sembra provenga da un paesaggio lunare. Arriva a gran velocità, mi affianca, siamo davanti alla pista Di Prampero.

Scendono velocemente tre, cinque, ...quanti sono? dieci uomini, forse di più, non riesco a contarli. Sono vestiti con delle tute bianche a piccole macchie nere.

A me sembra ridicolo, sembra la carica dei 101. Si dirigono verso la pista. Guardo lì in fondo ed è pieno di macchette nere sul bianco dello sfondo, sono tanti, più di 101 sicuramente, pronti a salire lungo la pista per un'esercitazione.

Man mano che mi allontano le macchiette nere spariscono,rimane solo il bianco della pista. Quella mimetizzazione funziona benissimo, non lo avrei mai creduto se non avessi visto con i miei occhi.

Complimenti.

sabato 16 gennaio 2010

Caspita.



Al mattino è freddo e la mia amica Paola, che sa che vado in giro all'alba, mi ha procurato una Crema Da Giorno Per Pelli Secche che assimilerei al grasso di foca, per le proprietà protettive che offre. La spalmo sul viso senza risparmiare e fa da perfetto isolante fra il calore interno e il gelo esterno.

Il problema resta però il naso, che con il freddo ( e con le continue escursioni termiche fuori/dentro dall'enoteca) in questo periodo esibisce un simpatico colorino da Mastro Ciliegia.

Ho appena venduto a due simpatici signori austriaci una quantità onorevole di un bel refosco. Bene. Solo che uno dei due durante l'acquisto ha detto a bassa voce all'altro: "Fidati dei consigli della signora, guarda di che colore ha il naso!". Gliel' ha detto in tedesco, pensava che non avrei compreso.

Caspita.*

Buon fine settimana! Benvenuta

* In questo blog "caspita" ha un'altro significato.

mercoledì 13 gennaio 2010

Grazie Isabella!


Grazie mille a Isabella per la gentilissima mail, mi scuso per il ritardo con cui mi faccio sentire, ma sono bianca di polvere (dai capelli ai calzetti) ed è meglio stia lontano da tastiera e pc :-).

Per gli indirizzi che mi chiedi li pubblicherò appena saranno disponibili i prodotti, non ci vorrà molto.

Torno al lavoro!

giovedì 7 gennaio 2010

Care Signore/Suor Roberta



Suor Roberta si chiama Giancarla Tonon, ma nessuno lo sa.
La incontro quando, nei giorni di festa in cui lavoro, devo lasciare la mia parrocchia per andare alla prima Messa nella parrocchia vicina, così riesco ad aprire in tempo l'enoteca.
La prima Messa è per pochi intimi: come dice mio padre " è la Messa delle vedove", ma ci si trova bene, tutti si conoscono.

Ieri mattina arrivo in chiesa di corsa, mi siedo facendo attenzione a non appoggiare le scarpe piene di neve sull'inginocchiatoio, sfregando le mani per riattivare la circolazione.

Suor Roberta mi addocchia dall'altare mentre sta accendendo le candele e, come solo le suore sanno fare, che sembra che sotto la gonna abbiano le rotelle, scivola fino al mio banco e mi dice che c'è da leggere la seconda lettura.

Poi, eterea, ritorna al primo banco, in pole position, come sempre. Chi lo direbbe mai che da piccola era proprio un maschiaccio e che a Messa non ci voleva andare!
Pochi sanno della sua vita, io so diverse cose perchè è cresciuta con le mie zie, a Cave del Predil. Durante le riunioni familiari usciva spesso il discorso della Giancarla, e della sua infanzia.
Ho pensato di inserirla fra le ventitre "Care Signore": qundo gliene ho parlato non era proprio convinta, ma essendo una che non ha paura di mettersi in gioco, ha risposto all'appello senza grosse remore. E' stata una bella sorpresa anche per me.


La sua storia

Per tutti è Suor Roberta. E’ stata la maestra d’asilo di quasi tutta l’amministrazione comunale. Chi l’ha avuta come insegnante, quando la incontra si sente trasportare indietro nel tempo a quando aveva tre anni, il rispetto che incute è rimasto lo stesso, la sua immagine è ferma nel tempo nonostante il passare degli anni. E’ la prima di quattro sorelle, nasce a Conegliano Veneto il 23 aprile 1936 e la sua famiglia si trasferisce a Cave del Predil quando lei ha 3 anni. Il padre arriva a Cave come dipendente del genio civile, poi viene assunto dalla Miniera come capo officina elettrica. I primi ricordi di Giancarla sono legati alla Cima del Lago, dove trascorreva l’estate assieme ad altri bambini, mentre gli adulti lavoravano. La madre gestisce la sede Enal di Cave, a quei tempi un centro attivo d’incontro, c’era il cinema e la sala da ballo e il bar. Suor Roberta non vive quindi vita ritirata, ha modo di socializzare e di “lavorare sodo”, l’attività familiare è molto impegnativa.
Il suo sacerdote è monsignor Nitz, un parroco che parla poco e malvolentieri
l’italiano, si esprime meglio in tedesco. La sua famiglia non frequenta molto la
chiesa, “… tutti i bambini andavano alle funzioni, ci andavo anch’ io, più che
altro per stare in compagnia”. Il suo rapporto con la scuola materna è
burrascoso “ci sono andata un giorno solo, poi non ho più voluto, non mi
piaceva”. Il carattere deciso si vedeva già allora, ed è stato un susseguirsi di
decisioni controcorrente. Frequenta le scuole medie di Tarvisio. Quando ricorda
i suoi insegnanti di allora, la professoressa Hoffmann, la prof. Molinari, il
prof. Zucchiatti e Monsignor Fontana, ne parla con profondo rispetto. Le piace
molto la matematica ed anche il latino. Dà il merito di questo suo desiderio di
apprendere alla nonna materna, toscana d’origine ed analfabeta, che però le
parla sempre in un’italiano fluente e ricco, secondo lei è questo che fa
scattare la molla della curiosità e della sete di imparare.
Al termine delle scuole medie il suo futuro sembra già segnato: ha molto lavoro a casa, la gestione dell’Enal occupa tutta la famiglia. Inoltre sua madre soffre di una
grave malattia al nervo trigemino, con fortissimi dolori al capo. ”Quando
tornavo a casa da scuola, sulle scale si sentivano le sue grida, soffriva
tantissimo e non c’era niente da fare per aiutarla”. Giancarla si occupa della
casa, lavora al bar, c’è anche chi vorrebbe fare famiglia con lei.
Ma non è serena, le manca qualcosa. A volte passa dalle suore, a Cave c’è un bel
gruppetto di suore venete, si occupano della scuola materna ma seguono anche i
bambini del paese. “Lì stavo bene, mi rilassavo, mi sentivo a casa” . Pian piano
prende forma l’idea di un futuro diverso, le suore le trasmettono serenità e
Giancarla è sempre più spesso da loro. E’ molto combattuta, le sembra che il sua
possa essere solo desiderio di fuga da una quotidianità noiosa e poco appagante.
Non ne parla con nessuno, prende carta e penna e scrive una lettera a un frate
di cui sente parlare molto , è di Pietralcina, e si chiama Padre Pio, gli chiede
cosa fare. La risposta arriva in meno di una settimana, è incredibile la
celerità per quei tempi: le consiglia di seguire la ua vocazione, potrà essere
più utile a tutti se sarà serena e realizzata, la sua famiglia capirà. Parte in
ottobre, e lo racconta con le lacrime agli occhi. Nella grande felicità di
questa decisione c’è l’ombra di tristezza di aver lasciato la sua famiglia
proprio quando la madre era appena stata operata alla testa, a Milano. Al suo
ritorno a casa c’era stata la partenza di questa figlia decisa e consapevole,
angosciata però dall’abbandono, in quel momento particolare, di tutta la
famiglia. Inizia un periodo molto appagante: frequenta le scuole magistrali a
Padova mentre fa il noviziato, ricorda quegli anni con gioia. La scuola le
piace, apprende facilmente “Noi novizie non avevamo molto materiale, le altre
suore insegnavano già ed avevano delle bellissime scatole di colori, le
invidiavamo. Noi ci scambiavamo le matite collezionate a fatica, erano preziose.
Questo accendeva un clima di complicità e di condivisione, eravamo serene”.
La vocazione e il destino la riportano a Tarvisio. Dopo anni di insegnamento
in Veneto le viene proposto di tornare in Friuli, a casa sua. Ritorna e vive con
quel gruppo di suore che le hanno trasmesso la fede, con suor Giuliana, che ora
è sua collega. Dal 2003 non insegna più, ma non ha un minuto libero: assieme
alle sue consorelle, fra la cura della Chiesa e il catechismo, non c’è giornata
che non sia piena “…a volte siamo stanche e si fa fatica ad andare avanti, ma se
penso che annoiarsi fa invecchiare la gente, noi siamo proprio fortunate”.


Un pensiero

Fra le insegnanti della scuola materna è stata la pioniera della collaborazione con le scuole della Carinzia e della Slovenia.
Mentre sfoglia l’album delle foto del gemellaggio con la scuola di Arnoldstein,
le brillano gli occhi, sembra una bambina. Per una come lei che da piccola aveva
sopportato con fatica le prediche di un sacerdote di lingua tedesca e che aveva
vissuto sulla sua pelle la sofferenza di un paese spaccato da fazioni
linguistiche alla fine della guerra, aiutare a costruire, con l’accoglienza e la
collaborazione, questo angolo d’Europa, è una liberazione interiore, un giusto cammino che si è compiuto.






venerdì 1 gennaio 2010

1 gennaio


.... tanti giorni sereni per tutti, con poco stress e tante soddisfazioni ( senza dimenticare che le soddisfazioni bisogna andare a cercarsele e che lo stress è fisiologico) :-)

http:/www.youtube.com/watch?v=SLY7yI1xV-M&feature=related