E qui di seguito un pò della sua storia.
Nasce a Udine il 9 luglio 1939. Il cognome da ragazza è di origine veneziana. Chiamarsi Signora di cognome lascia ampi spazi all’ironia, quindi lo usa poco. Del resto è particolarmente orgogliosa del cognome che porta da sposata ed usa quasi sempre quello. La sua vita è infatti un percorso che la affianca fin da giovanissima a Vittorio Paludetti, che conosce a 17 anni a Udine, dov’è nata, che sposerà e dal quale avrà quattro figli. Figlia unica, viene cresciuta dalla madre, in una casa dove vivono i nonni e una zia, una micro-comunità dove tutti le trasmettono qualcosa. La madre, in particolare, rappresenta per lei una figura di forte riferimento “La mia mamma era fuori dagli schemi e questo di lei mi piaceva molto, era diversa dalle altre.”
La madre amava la montagna e quando poteva prendeva il treno e la portava in giro sulle nostre Alpi, le ha insegnato la costanza del cammino e le ha trasmesso la felicità dell’essere immersi nella natura.
L’amore per la montagna sarà una delle cose importanti che Germana condividerà con il marito, appassionato escursionista: assieme frequenteranno un corso roccia per poter essere più sicuri nel condurre i loro figli. Dopo la nascita dei figli, appena potevano partivano con i ragazzi, sacchi a pelo in spalla, a vivere l’avventura dei bivacchi e delle notti stellate. Ora ripetono il percorso con i nipoti, nonno Vittorio ha appena terminato il terzo tremila con Mattia e Simone.
Il suo percorso lavorativo
Frequenta le scuole magistrali e per qualche anno lavora come impiegata, poi la scelta è quella di dedicarsi ai suoi ragazzi e rimane a casa. Nel frattempo il marito, dirigente nel settore tessile, è costretto, per motivi di lavoro, a trasferirsi da Udine dapprima a Bergamo e poi in Sardegna. Lo segue ovunque, il loro legame è forte, vivono in simbiosi. Germana decide di seguire il marito, non fa come buona parte delle mogli di emigranti friulani che rimangono a casa ad attendere il ritorno del capofamiglia, “la quotidianità in un rapporto è fondamentale, condividere ogni giorno è indispensabile nel matrimonio. Non è stato sicuramente facile spostarsi in luoghi così diversi dal Friuli, ma credo fosse stata la scelta giusta”.
Pensano di costruire una casa in montagna per passare tutto il tempo libero nell’ambiente che più li fa star bene. Si presenta l’opportunità di acquistare un terreno edificabile a Valbruna. La località è perfetta, vicina alle Alpi Giulie, le loro preferite.“Quando ho visto il posto, ho rivissuto un sogno. Da piccola, alle scuole elementari, avevamo fatto una gita sulla neve, in treno. Partiti prestissimo da Udine, siamo scesi alla stazione di Valbruna. Alla gita aveva partecipato tutta la scuola, camminavamo in fila indiana nella neve. Pranzo all’Hotel Saisera: era un albergo bellissimo, grandi sale decorate ed anche un pianoforte. Avevamo suonato e cantato assieme mentre fuori nevicava. Mi ero detta che in questo posto mi sarebbe piaciuto vivere da grande. La nostra casa di oggi è proprio lì, dietro l’albergo, quando ho visto il terreno dove sarebbe sorta sono ritornata indietro di trent’anni, era proprio un sogno dimenticato che si avverava”. Giunto il tempo della pensione e ritornati in Friuli, decidono di trasferirsi definitivamente a Valbruna.
Una passione
Vivere a Valbruna è bello. Ci sono però lunghi periodi in cui tutto è immerso in un grigio immobile “…certi giorni guardi fuori e non c’è nessun movimento né alcun suono, si è completamente soli e tutto è immerso nel silenzio più puro”.
E’ qui che Germana trova finalmente il tempo di realizzare l’altro suo sogno: dedicarsi al patchwork. E’ una delle passioni che inconsciamente le ha trasmesso sua madre: lei lavorava fino a notte fonda a cucire e ricamare e Germana stava alzata a farle compagnia. Non sa usare una macchina da cucire, ma sente dentro l’esigenza di creare. Segue dei corsi a Udine con una maestra americana, poi in Francia.
Il patchwork rappresenta un mondo che l’avvolge: il country americano, il sunto di valori come la casa e la famiglia, la semplicità di una comunità, quella Amish, nella quale questa arte è nata. Quando cuce libera tutte le potenzialità nascoste, la creatività innata che ha trasmesso anche a suo figlio Alessandro. Dimentica ogni cosa attorno, a poco a poco coivolge anche il marito, che diventa un esperto critico di quiltaggio e di assemblaggio, del resto lui ha lavorato proprio nel mondo tessile.
Fonda con delle amiche il Valbruna Patchwork Club, un’ associazione che non ha scopo di lucro, ma solo quello di far riscoprire e promuovere la cultura del patchwork e far esprimere, attraverso l’uso di stoffe colorate, i doni artistici che ognuno possiede. In breve il Club si arricchisce di una quarantina di iscritti, fra artisti e simpatizzanti, ed ogni occasione è buona per trovarsi, distendere sul prato in discesa davanti a casa gli ultimi capolavori del gruppo e far festa assieme, ognuno porta qualcosa da mangiare, tutto è molto familiare.
Da alcuni anni insegna all’Università della Terza Età a Tarvisio, ha 18 allieve ed ora se ne aggiungono di nuove e si farà un nuovo corso. Organizza mostre e premi, espone le opere d’arte del Club e le spiega, svela questo mondo fantastico con parole semplici, evidenzia i dettagli e dà a tutto un significato profondo.
Un pensiero
Molte delle sue alunne si sono avvicinate al patchwork con esitazione, trascinate da altre. “Non so fare niente, vengo solo per farvi il caffè” è stata la frase d’inizio di una delle allieve, che oggi stupisce anche sé stessa per la precisione e l’accuratezza delle sue opere. Il patchwork è diventato un modo per “portare fuori” le potenzialità di tante donne, per esaltarne l’autostima, spesso frustrata dalla routine del quotidiano e dell’impossibilità di dedicarsi ad attività extra domestiche.
In molte occasioni questa è stata la soddisfazione più grande per Germana ed ora “si è creato fra di noi un affiatamento, una fiducia reciproca… puoi chiedere loro quello che vuoi, tutte sono disponibili” Non è cosa da poco.