venerdì 10 aprile 2009

Padre Giovanni

Ieri sera siamo andati in chiesa per la celebrazione del Giovedì Santo. E’ il giorno in cui tutti ci ricordiamo di un padre che non c’è più, da tredici anni. Succede sempre alla fine della celebrazione, ci si guarda negli occhi uscendo e non si dice niente.

Era il Giovedì Santo di tredici anni fa e il sacerdote che celebrava era Padre Giovanni. Era con noi da pochi mesi, mandato a sostituire un sacerdote che era mancato, e in un tempo pur così breve aveva già fatto la sua rivoluzione. Per noi, che negli anni avevamo continuato a scontrarci per decidere in quale percentuale le varie lingue presenti nel paese dovevano occupare le celebrazioni, per noi che per anni avevamo avuto due Messe, quella delle 9 per gli sloveni e quella delle 10 per gli italiani, il suo inserirsi fra noi, un po’ alla chetichella, quasi di soppiatto, è stato un colpo allo stomaco. Ma non un colpo di karatè, non un fendente di quelli che ti lasciano senza fiato. Un colpo al cuore, un po’ più su e un po’ più dentro, ci aveva rivelato l’assurdo del nostro atteggiamento, il controsenso della nostra incoerenza.
E’ arrivato un pomeriggio d’estate, con quel suo aspetto asciutto, quasi fragile. Non gli davi un’età, sembrava ne avesse abbastanza di anni, ma aveva l'agilità mentale e fisica di un ragazzo. Si entusiasmava, rideva, a volte sembrava triste e assorto, aveva negli occhi la semplicità di un bambino e ti chiedeva le cose più incredibili. “Posso portare a casa la minestra che è avanzata stasera? Domani a colazione sarà buonissima”.
Non aveva paura di chiedere collaborazione a tutti, con insistenza, a volte. Ma questo era il suo segreto: “...se ho bisogno di una mano, vado a chiedere a chi non sa dove mettere le mani, stai sicuro che trova il tempo per aiutarti”. Ed è vero, chi non ha niente da fare, non riesce a trovare il tempo per rendersi utile.
Aveva coinvolto un po’ tutti, trascinandoli virtualmente per la manica, senza lasciarli riflettere troppo, dicevi di sì senza neanche accorgerti. Ancora oggi quelli che sono stati “trascinati” da lui, sono fondamentali nella nostra parrocchia. Ha chiesto a una giovane signora con tre bimbi piccoli di seguire i bambini nelle celebrazioni e le ha spiegato ogni passo della liturgia. Ieri sera era proprio quella signora e i suoi figli, ormai grandi, a coordinare i venti chierichetti e i ragazzi che faranno la prima comunione e i cresimandi, e ogni cosa era ben fatta. In sacrestia, sul tavolo, c'era il suo foglio dattiloscritto con tutti i vari passaggi di quella liturgia particolare: prima devono uscire le due candele grandi, poi il cuscino per terra, poi bisogna scoprire la croce... sembrano cose scritte in codice, sono frutto della sua organizzazione e della sua capacità di delegare.
Era necessario anche un sacrestano: ha chiesto aiuto a un anziano che abitava vicino alla chiesa, uno che durante le celebrazioni stava sempre vicino all'ingresso, pronto a scappare a fine Messa. Ci ha stupito con quanta passione il nuovo sacrestano fosse attento e presente e contento. Lui non c'è più, ma ieri sera c'era suo nipote ad occuparsi di accendere e spegnere le luci nel S.Sepolcro. Questo era il bello di Padre Giovanni, che riusciva ad intuire la ricchezza di ognuno e riusciva a far sentire tutti importanti, indispensabili.
Fin dalla prima Messa che ha celebrato da noi ha annunciato con semplicità che lui lo sloveno non lo sapeva e che volentieri lo voleva imparare, e quindi avrebbe accettato l'aiuto di tutti e avrebbe messo dei foglietti con le preghiere sui banchi, evidenziando anche la giusta pronuncia: chi voleva, poteva imparare assieme a lui.
E già qui cadeva un muro. Come, imparare? Perché ?
E la gioia e l’entusiasmo e la concentrazione che metteva in quella consacrazione imparata a memoria, il simbolismo di quel linguaggio che non capiva, ma che aveva il profondo significato dell’accoglienza, del concreto “amarsi come fratelli”.
Aveva una profondità, una comunicativa per noi inusuale. Faceva catechesi con ogni gesto, con ogni parola e lo ascoltavamo come se fosse stata la prima volta che ci venivano spiegate le cose. O forse era davvero la prima volta, per molti di noi.
Quel Giovedì Santo, ha celebrato l’Ultima Cena e il Lavaggio dei piedi, e finalmente abbiamo capito il significato di ogni gesto, il messaggio d’amore che c’era in quei rituali che sempre avevamo subito con noia.
La celebrazione termina con lo spoglio dell’altare: via i fiori, via i libri sacri, via le candele e le tovaglie, tutto resta nudo. La chiesa era piena, eravamo tutti seduti e seguivamo con attenzione e curiosità per non perdere nessun gesto, per capirne il significato. Ad un certo punto, dalla sacrestia è ricomparso padre Giovanni, senza paramenti, svelto come sempre, pronto ad uscire e ci ha visto tutti seduti. “ E’finita, potete andare.” Era stupito lui stesso, di vederci ancora tutti lì.
Ne sorridiamo ancora, e alla fine della celebrazione del Giovedì Santo, quando lentamente si esce di chiesa il ricordo ritorna vivissimo.
E’ morto un paio di mesi dopo quella sera mentre scendeva di corsa dal Monte Lussari per venire a farci Messa. E’ volato con la Panda, dritto dritto in paradiso. E’ stato breve il tempo passato assieme, chi lo conosceva bene dice che fosse contento e soddisfatto, che si trovasse bene con noi. Per noi è stato un grande lutto, grande come quel colpo al cuore che ci aveva inferto arrivando, quella sensazione di vuoto e silenzio.
Buona Pasqua, amici!



2 commenti:

katia ha detto...

capisco come ti senti...io ho perso mio cognato(fratello per me)quasi 7 anni fà...incidente anche lui...è rimasto un vuoto incolmabile...aveva solo 22 anni,,,,,buona pasqua.

benvenuta ha detto...

Buona Pasqua anche a te, Katy e a quella bella gente che hai attorno!