giovedì 7 gennaio 2010

Care Signore/Suor Roberta



Suor Roberta si chiama Giancarla Tonon, ma nessuno lo sa.
La incontro quando, nei giorni di festa in cui lavoro, devo lasciare la mia parrocchia per andare alla prima Messa nella parrocchia vicina, così riesco ad aprire in tempo l'enoteca.
La prima Messa è per pochi intimi: come dice mio padre " è la Messa delle vedove", ma ci si trova bene, tutti si conoscono.

Ieri mattina arrivo in chiesa di corsa, mi siedo facendo attenzione a non appoggiare le scarpe piene di neve sull'inginocchiatoio, sfregando le mani per riattivare la circolazione.

Suor Roberta mi addocchia dall'altare mentre sta accendendo le candele e, come solo le suore sanno fare, che sembra che sotto la gonna abbiano le rotelle, scivola fino al mio banco e mi dice che c'è da leggere la seconda lettura.

Poi, eterea, ritorna al primo banco, in pole position, come sempre. Chi lo direbbe mai che da piccola era proprio un maschiaccio e che a Messa non ci voleva andare!
Pochi sanno della sua vita, io so diverse cose perchè è cresciuta con le mie zie, a Cave del Predil. Durante le riunioni familiari usciva spesso il discorso della Giancarla, e della sua infanzia.
Ho pensato di inserirla fra le ventitre "Care Signore": qundo gliene ho parlato non era proprio convinta, ma essendo una che non ha paura di mettersi in gioco, ha risposto all'appello senza grosse remore. E' stata una bella sorpresa anche per me.


La sua storia

Per tutti è Suor Roberta. E’ stata la maestra d’asilo di quasi tutta l’amministrazione comunale. Chi l’ha avuta come insegnante, quando la incontra si sente trasportare indietro nel tempo a quando aveva tre anni, il rispetto che incute è rimasto lo stesso, la sua immagine è ferma nel tempo nonostante il passare degli anni. E’ la prima di quattro sorelle, nasce a Conegliano Veneto il 23 aprile 1936 e la sua famiglia si trasferisce a Cave del Predil quando lei ha 3 anni. Il padre arriva a Cave come dipendente del genio civile, poi viene assunto dalla Miniera come capo officina elettrica. I primi ricordi di Giancarla sono legati alla Cima del Lago, dove trascorreva l’estate assieme ad altri bambini, mentre gli adulti lavoravano. La madre gestisce la sede Enal di Cave, a quei tempi un centro attivo d’incontro, c’era il cinema e la sala da ballo e il bar. Suor Roberta non vive quindi vita ritirata, ha modo di socializzare e di “lavorare sodo”, l’attività familiare è molto impegnativa.
Il suo sacerdote è monsignor Nitz, un parroco che parla poco e malvolentieri
l’italiano, si esprime meglio in tedesco. La sua famiglia non frequenta molto la
chiesa, “… tutti i bambini andavano alle funzioni, ci andavo anch’ io, più che
altro per stare in compagnia”. Il suo rapporto con la scuola materna è
burrascoso “ci sono andata un giorno solo, poi non ho più voluto, non mi
piaceva”. Il carattere deciso si vedeva già allora, ed è stato un susseguirsi di
decisioni controcorrente. Frequenta le scuole medie di Tarvisio. Quando ricorda
i suoi insegnanti di allora, la professoressa Hoffmann, la prof. Molinari, il
prof. Zucchiatti e Monsignor Fontana, ne parla con profondo rispetto. Le piace
molto la matematica ed anche il latino. Dà il merito di questo suo desiderio di
apprendere alla nonna materna, toscana d’origine ed analfabeta, che però le
parla sempre in un’italiano fluente e ricco, secondo lei è questo che fa
scattare la molla della curiosità e della sete di imparare.
Al termine delle scuole medie il suo futuro sembra già segnato: ha molto lavoro a casa, la gestione dell’Enal occupa tutta la famiglia. Inoltre sua madre soffre di una
grave malattia al nervo trigemino, con fortissimi dolori al capo. ”Quando
tornavo a casa da scuola, sulle scale si sentivano le sue grida, soffriva
tantissimo e non c’era niente da fare per aiutarla”. Giancarla si occupa della
casa, lavora al bar, c’è anche chi vorrebbe fare famiglia con lei.
Ma non è serena, le manca qualcosa. A volte passa dalle suore, a Cave c’è un bel
gruppetto di suore venete, si occupano della scuola materna ma seguono anche i
bambini del paese. “Lì stavo bene, mi rilassavo, mi sentivo a casa” . Pian piano
prende forma l’idea di un futuro diverso, le suore le trasmettono serenità e
Giancarla è sempre più spesso da loro. E’ molto combattuta, le sembra che il sua
possa essere solo desiderio di fuga da una quotidianità noiosa e poco appagante.
Non ne parla con nessuno, prende carta e penna e scrive una lettera a un frate
di cui sente parlare molto , è di Pietralcina, e si chiama Padre Pio, gli chiede
cosa fare. La risposta arriva in meno di una settimana, è incredibile la
celerità per quei tempi: le consiglia di seguire la ua vocazione, potrà essere
più utile a tutti se sarà serena e realizzata, la sua famiglia capirà. Parte in
ottobre, e lo racconta con le lacrime agli occhi. Nella grande felicità di
questa decisione c’è l’ombra di tristezza di aver lasciato la sua famiglia
proprio quando la madre era appena stata operata alla testa, a Milano. Al suo
ritorno a casa c’era stata la partenza di questa figlia decisa e consapevole,
angosciata però dall’abbandono, in quel momento particolare, di tutta la
famiglia. Inizia un periodo molto appagante: frequenta le scuole magistrali a
Padova mentre fa il noviziato, ricorda quegli anni con gioia. La scuola le
piace, apprende facilmente “Noi novizie non avevamo molto materiale, le altre
suore insegnavano già ed avevano delle bellissime scatole di colori, le
invidiavamo. Noi ci scambiavamo le matite collezionate a fatica, erano preziose.
Questo accendeva un clima di complicità e di condivisione, eravamo serene”.
La vocazione e il destino la riportano a Tarvisio. Dopo anni di insegnamento
in Veneto le viene proposto di tornare in Friuli, a casa sua. Ritorna e vive con
quel gruppo di suore che le hanno trasmesso la fede, con suor Giuliana, che ora
è sua collega. Dal 2003 non insegna più, ma non ha un minuto libero: assieme
alle sue consorelle, fra la cura della Chiesa e il catechismo, non c’è giornata
che non sia piena “…a volte siamo stanche e si fa fatica ad andare avanti, ma se
penso che annoiarsi fa invecchiare la gente, noi siamo proprio fortunate”.


Un pensiero

Fra le insegnanti della scuola materna è stata la pioniera della collaborazione con le scuole della Carinzia e della Slovenia.
Mentre sfoglia l’album delle foto del gemellaggio con la scuola di Arnoldstein,
le brillano gli occhi, sembra una bambina. Per una come lei che da piccola aveva
sopportato con fatica le prediche di un sacerdote di lingua tedesca e che aveva
vissuto sulla sua pelle la sofferenza di un paese spaccato da fazioni
linguistiche alla fine della guerra, aiutare a costruire, con l’accoglienza e la
collaborazione, questo angolo d’Europa, è una liberazione interiore, un giusto cammino che si è compiuto.






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