sabato 29 agosto 2009

Mina Wedam

La ricerca di cui parlo alla fine del post precedente è stata seguita nel 2001 da mia sorella Claudia ed ha coinvolto tante signore, fra cui Lisa Sima Ehrlich, Maria Elsbacher, Ottilia e Olga Oitzinger, Luisa Zelloth e Mina Wedam, che adesso non c'è più.
Questa giornata di preparazione alla festa mi sembra il momento giusto per ricordare quella piccola grande donna : lei era una di quelle signore anziane che non si sarebbe offesa se non le avessero chiesto il suo Rosenkraut, ma che avrebbe percorso di corsa tutto il paese per portarlo alle ragazze.
Ecco il suo ritratto, sempre dal libro "Care Signore":

MARIA WEDAM
La sua storia

Era talmente riservata che di lei si sapeva veramente poco. Quando la incontravi riusciva a condurre il discorso fino a sapere come stavi tu, voleva sapere se stavi bene, se eri sereno. Aveva una tale capacità di ascolto, un atteggiamento del volto,
che senza accorgerti ti ritrovavi a parlare di te. E dopo averla salutata ti rendevi conto che di lei non si era detto niente, quindi è rimasta sempre un mistero.
Aveva vissuto un grande amore, da giovane, che non era ritornato dalla guerra. Non ne ha mai parlato, sempre sorridente, sempre discreta. Tutti la conoscevano come Mina, inteso come piccolina, perché era sempre stata uno scricciolo di donna.


Il suo percorso lavorativo

Era sarta, la vera sarta di paese, quella che faceva i vestiti da sposa e i primi pantaloni da uomo dei ragazzi. Aveva imparato il mestiere dalla signora Nagelschmied, una sarta che abitava nel Castelletto Rosso di via Romana, a Tarvisio. Poi aveva sempre lavorato in casa, dove viveva assieme al fratello Rudi. La sua casa era proprio sullo spartiacque, da una parte si scendeva verso Udine, dall’altra la
discesa conduceva verso Tarvisio. Lavorava al primo piano, aveva una grande
finestra rivolta ad est e quando passavi sulla strada vedevi, sotto la luce gialla di una lampadina, la sua testa bianca china sul lavoro.
Quando andavi a trovarla era suo fratello che ti apriva la porta , piccolo e minuto anche lui, e ti faceva salire una stretta scaletta di legno, come ce n’erano una volta in
tutte le case della Valcanale. Ti si apriva una grande stanza, interamente in legno. Pavimento a doghe lunghe con i nodi in evidenza, tetto a spiovente da entrambi i lati ed in fondo la finestra. Al centro c’era un manichino, tante stoffe e la sua Singer. Aveva sempre tanto da fare, c’era da aspettare per le prove di un cappotto, di un vestito. Portavi la stoffa, lei la guardava e poi ti mostrava i modelli e sceglievi. Era puntuale, ti convocava per un giorno, ti diceva anche l’ora in cui dovevi venire e quel giorno eri sicuro di trovare tutto pronto.
Negli ultimi tempi pochi facevano fare i vestiti, ma era sempre preziosissima la sua opera per i dettagli, le cerniere, le accorciature, gli orli. Lei era contenta del suo lavoro, col tempo era diventato meno impegnativo e questo le dava un po’ più di libertà per socializzare, per uscire.
Era piccolissima e minuta, la ricordiamo con un cappottino scuro e la borsetta sottobraccio, sempre elegante, la testa completamente bianca. Camminava con passetti corti e veloci, il viso sempre sorridente, percorreva tutto il paese, sembrava avesse sempre qualcosa di ugentissimo da fare. Però se ti incrociava prendeva tutto il tempo necessario per ascoltarti. Sapeva scherzare, aveva un umorismo fine, non sarcastico. Se c’era l’occasione viaggiava volentieri, era fondamentalmente curiosa come tutte le persone intelligenti.
Aveva viaggiato, con amici fidati, ed era stata a Parigi, in Spagna, spesso in vacanza in Alto Adige. Con questi amici si ritrovava a giocare a carte, l’unico diversivo che si concedeva. Giocava con gran serietà, con metodo e con molto umorismo, era un piacere seguire i suoi ragionamenti e le sue mosse.
Fondamentalmente si considerava una persona fortunata, aveva fatto un lavoro che le piaceva ed ora si godeva la vecchiaia con serenità.

Una passione.
Non era una passione, era un impegno che si era assunta, un’attività che aveva sempre a che fare con l’ago e a cui si dedicava con impegno: faceva le iniezioni.
Oggi fa sorridere l’idea di questa vecchina che arrivava, metteva a bollire la siringa e tutto il necessario e mentre aspettava che tutto fosse pronto, condivideva un caffè, un dolce. In questo modo seguiva il decorso delle malattie, confortava, prendeva in giro e minimizzava. Sdrammatizzava, ma non per rendere meno importanti i tuoi problemi bensì per portarli in una sfera di “vivibilità”. Ti faceva capire che lei comprendeva e
condivideva le tue preoccupazioni, ma allo stesso tempo ti aiutava a capire che nulla era così drammatico e difficile. Con questo suo modo accogliente di ascoltare riceveva le confidenze di molti, ma sapeva tenerle per sé.
Questo era un impegno di cui non parlava, la malattia va trattata con discrezione, ma
quando la incrociavi col suo passo veloce, la prima cosa che pensavi era “A chi
tocca questa volta?”


Un pensiero.

Un pensiero suo non ci è rimasto, un esempio sicuramente. Di disponibilità, di apertura mentale, di accoglienza. E poi di serietà professionale e di dedizione al lavoro . Ed infine di discrezione. La ringraziamo tutti per aver saputo ascoltare, e tacere.



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