Con quel gruppo è stato bello lavorare e sono arrivati da noi attraverso il mezzo più efficace: il passaparola, ma questa volta molto tortuoso.
Il passaparola e’ partito da Codroipo, dove un mio amico arredatore aveva parlato ad un suo amico assicuratore di questo gioiellino di albergo, in un posto carino.
L’assicuratore il giorno dopo era stato contattato dal suo direttore generale per andare con lui a scegliere una destinazione che facesse onore al Friuli per accogliere questi ospiti stranieri. Sembrava un puzzle organizzato nei particolari: la settimana dopo l’albergo era pieno, ed era bassa stagione.
Anche l’architetto Lorenzo era arrivato a Valbruna perché un’assistente di sua moglie, all’università di Udine, gli aveva consigliato questo piccolo hotel “ lussuoso, ma non pacchiano”. Non conosco quell’assistente che adesso credo sia diventato professore, non è stato nostro ospite; avrei voluto avere il modo di ringraziarlo per la presentazione accurata che ci aveva fatto e spero ancora di poterlo fare.
Il passaparola positivo credo sia l’unico mezzo per costruirsi una clientela soddisfacente e soddisfatta.
Se qualcuno mi dice” vai lì, che starai bene” indicandomi un albergo, un ristorante, un negozio, il consiglio vale molto di più di tutte le offerte che potrei trovare sui giornali e sui siti di settore.
Chi ti consiglia un luogo, però, lo fa se è veramente sicuro di non fare brutta figura e quindi deve essere veramente molto soddisfatto.
D’altra parte, e questo l’ho studiato a Ca’ Foscari, la pubblicità negativa è dieci volte più invasiva di quella positiva: se sei stato male in un posto, lo dirai a un sacco di gente, per tutta la settimana il pensiero non ti lascerà. Se sei stato bene, lo dirai solo agli amici.
Questa cosa mi aveva preoccupato un po’, durante quel periodo.
Anche l’architetto Lorenzo era arrivato a Valbruna perché un’assistente di sua moglie, all’università di Udine, gli aveva consigliato questo piccolo hotel “ lussuoso, ma non pacchiano”. Non conosco quell’assistente che adesso credo sia diventato professore, non è stato nostro ospite; avrei voluto avere il modo di ringraziarlo per la presentazione accurata che ci aveva fatto e spero ancora di poterlo fare.
Il passaparola positivo credo sia l’unico mezzo per costruirsi una clientela soddisfacente e soddisfatta.
Se qualcuno mi dice” vai lì, che starai bene” indicandomi un albergo, un ristorante, un negozio, il consiglio vale molto di più di tutte le offerte che potrei trovare sui giornali e sui siti di settore.
Chi ti consiglia un luogo, però, lo fa se è veramente sicuro di non fare brutta figura e quindi deve essere veramente molto soddisfatto.
D’altra parte, e questo l’ho studiato a Ca’ Foscari, la pubblicità negativa è dieci volte più invasiva di quella positiva: se sei stato male in un posto, lo dirai a un sacco di gente, per tutta la settimana il pensiero non ti lascerà. Se sei stato bene, lo dirai solo agli amici.
Questa cosa mi aveva preoccupato un po’, durante quel periodo.
Il nostro impegno era quello di avviare quella struttura, di farla partire, che è la fase più delicata di un’azienda. Dovevamo riuscire a creare un plafond di clientela contenta: questo è il vero patrimonio dell’industria dell’accoglienza, una clientela fidelizzata che avrebbe a sua volta fatto promozione per noi.
Un ospite, un giornalista triestino, durante una serata davanti al caminetto, quasi disteso nella poltrona di pelle rossa, stanco, rilassato e felice mi ha detto:”Vi ringrazio per la bella atmosfera che trovo qui, ma vi dico già che non lo dirò a molti. Si sta così bene che vorrei ritornarci e trovare solo gente simpatica, starò attento a chi ne parlerò”.
Questo dettaglio non ce l’avevano spiegato alla facoltà di Economia, corso di Scienze del turismo .
L’impegno dell’accoglienza è quello di riuscire a mettere a proprio agio tutti. Inventandosi ogni giorno nuove soluzioni, a volte bisogna averne molta di fantasia.
Altre volte bisogna essere bravissimi a risolvere i problemi. Uno dei nostri ospiti più frequenti era un dirigente di un gruppo cui faceva capo anche un’impresa locale e , si fermava da noi un paio di notti ogni due settimane.
Ormai sapevamo tutto di lui: non faceva mai colazione, desiderava un bicchiere di latte prima di dormire.
Spesso ospitava altri dirigenti, per la maggior parte stranieri. Avvisava del suo arrivo all’ultimo momento, ma per lui c’era la camera 10, la più calda, visto che arrivava con l’aereo da un luogo del sole.
Un lunedì sera aveva deciso di invitare a cena i suoi due ospiti americani nel ristorante preferito e mi aveva chiesto di prenotare un tavolo per lui.
Quella sera il nostro hotel era chiuso ed io avevo attivato il trasferimento di chiamata sul mio cellulare, ho fatto tutto stando in auto.
Il suo locale preferito era inaspettatamente chiuso ed allora ho prenotato in un altro ristorante che sapevo gli sarebbe stato gradito. L’ho richiamato subito e gli ho comunicato il cambiamento di programma. Anche lui era per strada, assieme ai suoi ospiti viaggiava in una Porsche nera che io, che in quel momento avevo accostato a lato sul viadotto, potevo vedere in basso su una strada interna.
Porsche nere non ce ne sono molte in valle e in quel periodo di bassa stagione di auto ce n’erano comunque poche in giro.
Vedevo l’auto sportiva che era passata sotto il ponte e scorreva velocemente sotto di me passando davanti alla funivia.
Mi ha richiamato per spiegarmi che non si ricordava bene dove fosse questo posto dove avevo prenotato per loro. Sempre rimanendo al telefono, gli ho detto a quale incrocio doveva svoltare, e dall’alto vedevo la Porsche che si avvicinava con esitazione allo svincolo. Allora , mentre lui si trovava davanti a una scelta ed era evidentemente indeciso, io sono intervenuta ancora: “ecco vede, ci siamo, prosegua ancora un po’, adesso svolti a destra e continui in alto, faccia attenzione, piano, che c’è una buca prima del ponte, ecco adesso può parcheggiare lì e proseguire a piedi sul viottolo”.
In diretta. E per lui che mi immaginava nella reception del Valbruna Inn deve essere stata un’esperienza interessante di telepatia
Un ospite, un giornalista triestino, durante una serata davanti al caminetto, quasi disteso nella poltrona di pelle rossa, stanco, rilassato e felice mi ha detto:”Vi ringrazio per la bella atmosfera che trovo qui, ma vi dico già che non lo dirò a molti. Si sta così bene che vorrei ritornarci e trovare solo gente simpatica, starò attento a chi ne parlerò”.
Questo dettaglio non ce l’avevano spiegato alla facoltà di Economia, corso di Scienze del turismo .
L’impegno dell’accoglienza è quello di riuscire a mettere a proprio agio tutti. Inventandosi ogni giorno nuove soluzioni, a volte bisogna averne molta di fantasia.
Altre volte bisogna essere bravissimi a risolvere i problemi. Uno dei nostri ospiti più frequenti era un dirigente di un gruppo cui faceva capo anche un’impresa locale e , si fermava da noi un paio di notti ogni due settimane.
Ormai sapevamo tutto di lui: non faceva mai colazione, desiderava un bicchiere di latte prima di dormire.
Spesso ospitava altri dirigenti, per la maggior parte stranieri. Avvisava del suo arrivo all’ultimo momento, ma per lui c’era la camera 10, la più calda, visto che arrivava con l’aereo da un luogo del sole.
Un lunedì sera aveva deciso di invitare a cena i suoi due ospiti americani nel ristorante preferito e mi aveva chiesto di prenotare un tavolo per lui.
Quella sera il nostro hotel era chiuso ed io avevo attivato il trasferimento di chiamata sul mio cellulare, ho fatto tutto stando in auto.
Il suo locale preferito era inaspettatamente chiuso ed allora ho prenotato in un altro ristorante che sapevo gli sarebbe stato gradito. L’ho richiamato subito e gli ho comunicato il cambiamento di programma. Anche lui era per strada, assieme ai suoi ospiti viaggiava in una Porsche nera che io, che in quel momento avevo accostato a lato sul viadotto, potevo vedere in basso su una strada interna.
Porsche nere non ce ne sono molte in valle e in quel periodo di bassa stagione di auto ce n’erano comunque poche in giro.
Vedevo l’auto sportiva che era passata sotto il ponte e scorreva velocemente sotto di me passando davanti alla funivia.
Mi ha richiamato per spiegarmi che non si ricordava bene dove fosse questo posto dove avevo prenotato per loro. Sempre rimanendo al telefono, gli ho detto a quale incrocio doveva svoltare, e dall’alto vedevo la Porsche che si avvicinava con esitazione allo svincolo. Allora , mentre lui si trovava davanti a una scelta ed era evidentemente indeciso, io sono intervenuta ancora: “ecco vede, ci siamo, prosegua ancora un po’, adesso svolti a destra e continui in alto, faccia attenzione, piano, che c’è una buca prima del ponte, ecco adesso può parcheggiare lì e proseguire a piedi sul viottolo”.
In diretta. E per lui che mi immaginava nella reception del Valbruna Inn deve essere stata un’esperienza interessante di telepatia
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