mercoledì 1 ottobre 2008

...com'era iniziata quell'avventura


L’avventura era iniziata nell’ottobre 2002.

C’era bisogno con urgenza di un direttore per quell’ albergo e la società che l’aveva ristrutturato cercava un direttore che fosse una donna e che fosse possibilmente del luogo.
Cercavano una donna che conoscesse le tradizioni, la gente, in modo da collegare l’ospite con il territorio.
L’idea era bella, com’era stata bella l’idea di quei dieci amici, legati da un’amicizia nata sugli sci, di comprare il vecchio albergo e farne un gioiello.
Solo tredici camere, un ristorante una biblioteca, un’atmosfera di casa in ogni angolo.

L’architetto che l’aveva pensato è la signora Maria Antonietta Cester Toso, una donna decisa e allo stesso tempo sensibile, attentissima ai particolari ed innovativa negli abbinamenti di colore.
Quando ho visto il suo lavoro, prima ancora di conoscerla, osservando le scelte che aveva fatto nella ricerca dei materiali, nelle soluzioni, nei particolari, nel giusto dosaggio dei colori senza mai cadere nell’eccesso, ne sono rimasta ammirata da subito.

Poco prima dell’apertura dell’albergo l’ho conosciuta di persona: aveva superato i settant’ anni, avrebbe potuto essere mia madre, è stata una sorpresa scoprirlo. Immaginavo un architetto molto più giovane, anche se in effetti era evidente che solo l’esperienza poteva averle dato quella sicurezza nelle scelte.
Un’elegante corona di capelli bianchi, una figura diritta, una gentilezza innata, si muoveva velocemente nel cantiere con i tecnici al seguito. Ma la cosa che colpiva di più era la determinazione che usava allo stesso modo sia con i muratori che con i proprietari, questo è il ricordo nitido che ho di quella donna forte.

Abbiamo parlato poco, anzi direi che ho solo ascoltato, non credo si sia accorta ci fossi anch’io nel gruppo che la seguiva e quale fosse il mio ruolo. Del resto si sa che l’architetto progetta la sua creatura e poi se ne va, non ci pensa più. Non è andata così.

Ci siamo riviste più o meno un anno dopo l’apertura, voleva far visitare la struttura ad una delle sue nuore. Quello che me l’ha fatta stimare ancora di più è stato il sapere che ha tirato su quattro figli, tutti maschi. Ci vogliono decisamente nervi saldi.

E’ arrivata una domenica mattina, Manuela stava riordinando le camere ed io ero ancora impegnata con le ultime colazioni. Poi è terminata la Messa nella chiesetta vicina e il bar si è riempito, non ho potuto seguirla molto nel suo giro.
Non credo fosse tutto in ordine sopra, gli ospiti erano appena scesi e avrei voluto farle vedere la casa in un altro momento, ero un po’ a disagio ma ero completamente assorbita dall’andirivieni della domenica mattina: i chek-out, i convenevoli dei saluti, e il bar e la socializzazione gradevole e indispensabile con quella parte di paese che frequenta il locale solo la domenica mattina.

Quando è scesa, mi sono scusata immediatamente.

Mi ha trattenuto ambedue le mani, dicendomi” Sapevo che avrebbe capito l’anima di questa casa, mi complimento per la scelta dei particolari, ha mantenuto lo spirito con cui l’avevo pensata”.
Detto da lei era un graditissimo complimento: ma non era merito mio, era merito di tutte noi, ed era stato facile, lo “spirito” di quella casa aveva una personalità ben definita.
Avevamo cercato di non aggiungere niente di inutile, nessun orpello. Anche per le cose necessarie come il set dei saponi o il materiale di consumo avevamo cercato di non lasciare spazio all’ovvietà.

Era stato un bel gioco stimolante ed era un gioco che si rinnovava ogni giorno.

Nessun commento: