mercoledì 1 ottobre 2008

Inaugurazione


Ho lavorato con tanti tecnici: dall’ascensore, alla macchina del caffè alla centrale termica, ho una discreta conoscenza di meccanismi, di allarmi e soprattutto di numeri di telefono da chiamare.
Tutti hanno compreso la mia scarsa predisposizione ai dettagli tecnologici, io mi esprimo meglio in altri campi, e tutti hanno avuto tantissima pazienza, direi che sono stata proprio fortunata.
Uno solo mi ha fatto alterare un po’, ma era una giornata molto particolare, eravamo tutti nervosi.
Pomeriggio del 26 dicembre 2002, il giorno dopo ci sarebbe stata l’inaugurazione dell’Hotel Valbruna Inn, a Valbruna.
Eravamo ancora in alto mare e questo è un eufemismo. Io e Micky, l’incosciente che divideva con me l’avventura della direzione dell’hotel, eravamo lì dal mattino presto e correvamo avanti e indietro senza guardarci negli occhi, non avevamo pranzato ed era già tardo pomeriggio.

Nelle camere c’erano i pittori che davano gli ultimi ritocchi, sulle scale i parchettisti che terminavano di posare la moquette, l’impresa delle pulizie che passava la sala da pranzo, il falegname che girava con un battiscopa in mano e i chiodi fra le labbra, tutti sembravano concentrati su se stessi e si passavano sopra senza vedersi.
Aurora, che aveva fatto un ottimo colloquio d’assunzione come cameriera al banco, era su nella vasca idromassaggio rotonda della camera Pellis; era dentro la vasca e lucidava con energia pareti e rubinetti.

Mentre passavo in corridoio sentivo che mormorava tra sé e sé, strofinando lo straccio su e giù “...e poi qui dentro non ci farò il bagno neanche se mi pagano, neanche se mi regalano il pernottamento per il viaggio di nozze; no, no… se penso a tutta la fatica che devono fare poi a pulirlo, no, non me lo godo un idromassaggio qui dentro..” e ripeteva la frase fra sé e sé, era un ritornello.
Aurora era stata molto determinata al colloquio di assunzione, era arrivata da me e mi aveva fatto subito un’ottima impressione: poco più vecchia di mia figlia, guardava diritto negli occhi e non sembrava affatto vanitosa, nonostante fosse una bella ragazza. Sapeva che quel lavoro non sarebbe stato facile, avevamo bisogno di una grande flessibilità, quando si inizia un’avventura del genere i problemi sono all’ordine del giorno e bisogna essere pronti a risolverli.
E adesso infatti era lei a passare la vasca e aveva pulito finestre tutto il giorno (e fuori c’erano 10 gradi sottozero), mentre io e Manuela preparamo i letti, con quegli splendidi piumoni nuovi.
In reception c’era il falegname che voleva terminare il sopralzo in legno sotto cui passavano tutti i collegamenti elettrici, c’era l’elettricista che stava terminando il quadro elettrico, c’era un tecnico che installava l’hardware.

Fra tutti c’era anche un signore di cui non ricordo il viso, né il tono di voce e neanche il nome, ricordo che aveva un cappotto blu davvero molto fine e che lì inmezzo rischiava decisamente di sporcarsi.
Era un bel signore elegante, ho capito dopo un po’ che era lì qual era il suo ruolo: aveva venduto alla società proprietaria dell’hotel il programma di gestione e voleva “assolutamente” che io mi sedessi lì, perchè lui era venuto “fin quassù (!), apposta” per farmi un breve corso sul funzionamento del software.

Premetto che la reception è uno spazio tondo di poco più di due metri quadrati e che letteralmente non ci si girava, qualcuno era fuori dal bancone e qualcuno era dentro e appena qualcuno usciva c’era chi tentava di portargli via il posto per continuare il suo lavoro.

Avevamo ancora poche ore, il tempo scorreva veloce, i primi ospiti sarebbero arrivati il pomeriggio successivo.
Questo simpatico signore stava fuori, il suo cappottino si sarebbe sporcato sicuramente se entrava.
Stando fuori m’inseguiva su e giù, dicendo di fermarmi, “che lui era venuto su apposta per parlare con me”.
Mi ha bloccato fra l’ascensore e le scale dei servizi, stavo portando degli scatolini con i bicchieri, arrncavo senza vedre bene dove poggiassero i piedi: o mi fermavo o se ne sarebbe andato e io avrei persa per sempre l’opportunità di parlare con lui.

C’è stato un attimo di silenzio, chi era lì a lavorare si è fermato a godersi due minuti di pausa per vedere come sarebbe finito lo spettacolo.
“Primo: lei non mi ha avvisato che veniva proprio oggi, le avrei detto di non venire. Secondo: oggi come vede non è il momento giusto, perché non possiamo proprio sederci lì dentro. Terzo: lei è un maleducato e quindi se ne vada pure, se venire su per lei è stata un’impresa così titanica è meglio che torni di corsa a casa perché sta venendo buio, e se incontra i lupi o l’orso per strada, potrebbe essere un’esperienza sconvolgente, le cambierebbe la vita”.

Un applauso silenzioso aleggiava nell’aria: l’elettricista, da dietro le spalle del mio interlocutore, mi ha espresso il suo pieno appoggio morale, ed eventualmente materiale ove necessario, unendo pollice ed indice a formare un cerchio.

Micky, passando con un grosso pacco di tovaglie gialle fra le braccia, mi ha fatto l’occhiolino e poi l’attività è ripresa freneticamente ed allegramente.
Adesso c’era più spazio, quel bel cappottino blu era tornato “giù” prima che calassero le tenebre sulla valle.

1 commento:

Anonimo ha detto...

E' bello conoscere le storie legate ad un posto come il Valbruna Inn, dopo averne visto le foto della ristrutturazione e dopo averne parlato con Carlo S., mio vecchio compagno di scuola, che mi descriveva il tipo di lavoro e le cure che avevano prestato al 'vecchio Keil'.
Nell'aprile 2003, durante un breve soggiorno a Camporosso, sono venuto a visitare l'albergo e TUTTE le sue stanze, su invito di Carlo e accompagnato da ... (Non ricordo! Ma a questo punto potevi essere anche tu).