domenica 5 ottobre 2008

I corsi di sommelier /Schioppettino 2005


Ieri sera ho fatto tardi e oggi sono immersa in un limbo ovattato, ho faticato a riempire gli scaffali e a salire su e giù dalle scale, non vedevo l’ora di potermi sedere.
E’ stata una bella serata: una degustazione di vini francesi, sul Faaker See, in casa di amici.
Non sono sciovinista, ma la tanto decantata enologia francese non fa sempre cose eccellenti: alcuni di quei vini erano, se non ordinari, addirittura disarmonici.
E’ stata comunque una bella occasione per passare una bella serata con una compagnia cosmopolita: un’ amicizia fra colleghi che lavorano nella stessa azienda ma provengono da Francia, Germania, Stati Uniti, Italia.
Si è parlato un po’ di tutto, passando dal francese al tedesco all’inglese.
Quando sei immerso in quest’atmosfera riesci incredibilmente a comprendere tutto e anche se poi ti esprimi nella tua lingua, comprendi che anche gli altri ti capiscono.

Forse quello che mancava ieri sera era l’abbinamento giusto con il cibo.
Pochi sono i vini che puoi bere così, da soli. Quasi tutti gli altri si valorizzano se accompagnati al piatto giusto. Noi italiani per questo siamo fortunati, la nostra cucina è talmente fantasiosa e variegata che ogni vino ha sicuramente più di un piatto su cui si accompagna.
Queste cose le ho scoperte al terzo corso di sommelier.
Il primo corso si occupava quasi unicamente d’enologia, di come si fa il vino. Il secondo era un cammino di conoscenza di nomi e vitigni e zone vinicole: molto mnemonico, nel complesso noioso. Il terzo corso è stato il più interessante. Si svolgeva in un ristorante: era presentata una pietanza, analizzandone la preparazione e nel corso di ogni lezione c’era l’incontro con esperti di vari settori (micologi, norcini, casari). Alla pietanza erano abbinati vini diversi per arrivare pian piano a capire quale potesse essere l’abbinamento giusto e quello che invece toglieva gradevolezza al piatto.
E’ stato molto interessante, veramente appassionante.
Ogni volta che assaggio un vino subito immagino a quale piatto potrebbe essere accompagnato e la cosa interessante è trovare quello giusto. Qualche volta capita di assaggiare un vino e pensare immediatamente: “questo va bevuto da solo”.
Non capita spesso, sono quei vini che hanno tutto: corpo,… in bocca senti il frutto, carnoso; profumi,…quelli che di solito leggi nelle descrizioni ma che poi è difficile trovare… la cannella, il cuoio, le spezie e il tostato del legno della botte.
Un vino così va aperto per “il gusto di bere”: si stappa questa bottiglia in compagnia di un paio d’amici, per gustarlo a sorsi piccoli, parlando. A temperatura giusta e dopo aver atteso il tempo necessario perché respiri di nuovo.

Queste non sono sicuramente cose che s’ improvvisano, vanno premeditate e non si fanno molto spesso.
Sono piccole cerimonie e servono soprattutto per comunicare. Il vino è il mezzo che consente di riuscire a raggiungere lo spirito adatto, questo non perché l’alcol abbia sciolto le tue inibizioni, ma perché il rituale è lento ed invita alla riflessione.
Troppo difficile da spiegare, sembra una cerimonia magica.

Poco fa spiegavo ad un cliente che il vino che gli stavo proponendo era leggero ed andava benissimo accompagnato ad un piatto di spaghetti al pomodoro. Mi ha chiesto a bruciapelo: “Ma è vero che voi italiani mangiate la pasta ogni giorno?” più o meno sì. “Ma come fate?” Abbiamo 365 sughi diversi. Ha riso, ma è vero.
Voleva sapere quali altre ricette oltre al ragù, all’amatriciana e alla carbonara ci fossero. Gli ho scritto su un foglietto la ricetta della pasta ai peperoni e gorgonzola, una cosina leggera.
Ha detto che la proverà subito, va a comprare gli ingredienti e stasera la prova, abbinata al vino che gli ho venduto. E’ uno Schioppettino del 2005, gli ho spiegato che la prima impressione in bocca sarà quella del pepe appena macinato, che poi scompare; starà benissimo col dolce/piccante del peperone e la rotondità aromatica del gorgonzola.
Mai avrei pensato di tenere dei corsi di cucina.
Se lo sapessero mia madre e soprattutto mio figlio, mi farebbero immediatamente “calare le ali”. Ma se il mio gentile cliente austriaco è convinto che tutte le donne italiane siano “mamme /cuoche”: perché togliergli questa certezza?

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