domenica 5 ottobre 2008

Le mie nonne


Sono appena arrivati 50 cartoni di un vino umbro e li abbiamo scaricati velocemente perché fuori piove: io e il trasportatore abbiamo fatto avanti e indietro assieme e abbiamo finito presto.
Queste sudate fanno bene, servono a tenere allenata la schiena e le braccia. Alla fine veniva voglia di “battere il cinque” con la mano, fatta anche questa!
Sono lavori da uomini, non sta bene vedere una signora che suda facendo fatica.

Non so se sia così, forse le regole sono cambiate.
Le nostre nonne non avevano i mariti vicino, gli uomini lavoravano all’estero e loro si arrangiavano completamente in campagna e nella stalla, mai avrebbero potuto aspettarsi un aiuto.
E’ naturale, nella nostra cultura, fare quello che c’è da fare senza problemi d’ immagine.
Mia nonna non sapeva cucinare dolci, per lei era tempo perso, il cibo era nutrimento, non divertimento. Però nella stalla tutto era sotto controllo e d’estate andava a falciare il fieno in alta montagna e lo portava giù nella gerla sulla schiena. Era stata a scuola fino alla terza elementare, poi la scuola finiva lì. Siccome lei era brava le hanno fatto ripetere la terza di nuovo, così sarebbe stata a scuola ancora un po’.
Mia nonna Benvenuta invece aveva avuto un’esperienza diversa. Suo padre era andato all’estero ma si era portato dietro la famiglia. Era decoratore, uno di quegli artisti che ricreavano sui muri il legno e il marmo. In Baviera ci sono molte chiese nelle quali quando entri sei abbagliato dal chiarore del marmo rosa o azzurro e poi scopri che è tutto legno dipinto. Il mio bisnonno abitava in Carinzia, a Klagenfurt; era ricco , possedeva anche un calesse col quale è andato a ritirare la medaglia d’oro del Keiser quando è diventato Meister, cioè maestro.
Ogni volta che sua moglie era incinta la rimandava in Italia, voleva che i suoi figli nascessero comunque italiani. Aveva avuto otto figlie in fila e poi finalmente un paio di maschi. Mia nonna era la più grande e aveva frequentato la scuola per signorine che in Austria era quasi d’obbligo nelle buona famiglie. Si imparava l’economia domestica, la cucina, il ricamo, nozioni di alimentazione, il galateo. Uscita di lì eri una perfetta donna di casa.
Quando si è trattato di dover prendere la cittadinanza austriaca, nel 1915, il nonno ha lasciato tutto ed è tornato in Italia.
Avevano una bella casa nella Villacherstrasse, vivevano in città, la nonna raccontava sempre che d’inverno pattinavano sul Wörthersee ghiacciato. Sono ritornati in Carnia, in un piccolo paese di montagna, un altro mondo. Chissà come l’hanno vissuto mia nonna e le sue sorelle questo ritorno? Per i loro genitori era tornare a casa, in un luogo a cui erano legati dai ricordi d’infanzia. Le ragazze non devono averla presa bene, immagino. Non ho mai potuto parlarne con nessuno, l’ultima sorella di mia nonna, la zia Irma, è mancata pochi anni fa e mi dispiace molto di aver sempre rimandato quell’incontro, che desideravo, perché mi raccontasse le sue impressioni e i suoi ricordi.
E’ proprio una fetta della mia storia che mi manca. Quella che conosco è la storia raccontata dagli uomini: “Non volevo diventare austriaco e quindi ho ricominciato daccapo in Italia”. E le sue donne, le aveva solo informate della decisione o ne aveva discusso con loro? Non credo, a quei tempi le donne non si sarebbero neanche sognate di esprimere un’opinione.
A questo punto preferisco veramente il mio oggi: scaricare 25 pacchi da 20 kg e poi decidere con mio marito cosa fare del nostro futuro.
Siamo fortunate noi donne del XXI secolo: abbiamo i mariti accanto, non tornano a casa per Natale per poi ripartire dopo aver messo in cantiere un altro figlio, e possiamo anche discutere con loro. Peccato che spesso non ce ne rendiamo conto.

Nessun commento: