martedì 14 ottobre 2008

La nonna Mojca e la zia Tona


Non è vero che noi montanari siamo inospitali, siamo un po’ diffidenti, semplicemente, ma non siamo fondamentalmente ostili.
Si fa fatica ad aprire la casa, non lo so perché, sicuramente perché l’imprinting che ci è stato dato è questo.
Attraverso i secoli qui da noi sono passate orde di stranieri, e tutti hanno portato via qualcosa. Gli unni e i celti, i romani, l'esercito francese e poi gli austro-ungarici ed infine lo Stato Italiano. Ad ogni cambio sulla poltrona di chi decideva le sorti della valle qualcosa si è perso, perlomeno questa doveva essere l'opinione di chi qui ci viveva. Quindi nella testa c'è una prevenzione che fa parte del normale approccio con chi non conosci.
Ma non siamo inospitali, solo diffidenti.
Però quando la porta di casa si apre, lo rimane per ogni cosa.
Una volta che qualcuno si è guadagnato la nostra fiducia, gli diamo tutto, soprattutto in termini d’attenzione.
Per mia esperienza personale bisogna avere la pazienza e la coerenza di attendere che i tempi di ognuno maturino, bisogna saper rispettare questi tempi senza forzarli o permettersi di criticarli.
La mia esperienza personale più bella è di quando non andavo ancora a scuola.
Per una serie di circostanze incredibili io e mia madre, che a quei tempi non avrà avuto neanche venticinque anni, ci siamo ritrovate fuori casa, senza chiavi, era sera e nevicava sul serio. Credo di essere stata molto lagnosa, ma mi ricordo che avevo molto freddo, e papà non arrivava e mia madre non sapeva cosa fare.
La mamma non vedeva altra via d’uscita se non quella di chiedere ospitalità in una casa vicina. A quei tempi la casa più vicina era a 200 metri di distanza e la strada non aveva l’illuminazione pubblica; se racconto ai miei figli l’avventura, non la possono comprendere: oggi ci sono altre sei case in quel tratto, un incrocio e un’illuminazione da aeroporto.
Quella volta la casa vicina era lontana, era buio pesto, si scivolava e ci nevicava contro.
I miei genitori avevano costruito la loro casa lì da qualche anno e provenivano tutti due da due paesi limitrofi, a quei tempi non c’era molta comunicazione fuori paese.
Con quei vicini ci conoscevamo appena, sapevamo che erano tre donne, quando le incontravamo ci si scambiava qualche parola, ma ognuno sulle sue, come usa qui.
Prima ci si annusa per un paio d’anni, poi si vede e se è il caso si diventa amici, questi sono tempi normali da noi.
Quando abbiamo suonato il campanello, si è sentito risuonare lontano all’interno.
Dal vetro del portoncino si è vista una luce che proveniva da una porta in fondo, aperta e subito richiusa.
Un fruscio di pantofole, due giri di chiavistello e la porta si è socchiusa senza che nessuno chiedesse chi fossimo, oggi non lo faremmo più.
Una signora che a me sembrava anziana, non molto alta e dall’apparenza esile , con i capelli neri raccolti a crocchia dietro, un grembiule a fiori, ci ha detto solo “Buonasera”.
Mia madre le ha spiegato con poche parole il nostro problema, mi sembrava così giovane e insicura, una bambina anche lei.
La signora ha spalancato il portone, ci ha fatto entrare in un corridoio buio e freddo, dove ci siamo scrollate di dosso tutta la neve che avevamo sui capelli, sui cappotti, sulla scarpe.
Dal fondo si è aperta una porta più piccola, da cui proveniva la luce e si è affacciata un’altra signora anziana, un po’ meno magra.
Ci hanno fatto entrare in una piccola cucina, lì la temperatura era molto alta.
Entrando ho avuto la percezione che ci possono essere vari gradi di anzianità, mi ricordo che ho pensato che ci sono anziani giovani e anziani vecchi.
Vicino alla stufa c’era la madre delle due donne, con un fazzoletto in testa da cui uscivano fili di capelli completamente bianchi.
Era seduta accanto alla stufa a legna e vicino c’erano appoggiate due grucce. Era anziana-anziana, le altre due si erano trasformate ai miei occhi, non le vedevo più così vecchie.
Questo anche perché chi comandava lì era la signora seduta, dava ordini alle figlie come fossero fanciulle sprovvedute.
In un attimo ci avevano fatto sedere vicino alla stufa, via le scarpe ed i piedi appoggiati su un mattone caldo tirato giù dalla stube.
E mentre una delle due si occupava di metterci comode, l’altra, seguendo gli ordini secchi della madre, dettati in un dialetto che non comprendevo, diverso da quello di mia nonna, aveva messo sulla stufa una caffettiera ed era andata in uno stanzino.
Dalla porticina piccola vedevo nello sgabuzzino buio tante pentole su ripiani, salami appesi, barattoli.
Ne è uscita con due krapfen dorati, appoggiati su un piattino. Nel caffè leggero due cucchiai di panna fresca delle loro mucche, aveva un sapore indimenticabile, dolce e materno, mai più sentito.
E’ stato l’inizio di una grande amicizia, discreta e contenuta nelle effusioni.
Io ero ormai adulta, quando la signora magra che quella volta mi sembrava già anziana, la signora Mojca, in un momento in cui ero in difficoltà, è arrivata sulla porta come faceva lei, senza quasi farsi sentire, si è appoggiata allo stipite e mi ha detto “posso aiutare?” e si è messa semplicemente a lavare verdura in cucina, senza parlare.
Nell’ultimo periodo della loro vita le due signore non potevano stare più qui da sole, l’inverno era troppo lungo.
Hanno trascorso i loro ultimi mesi, per fortuna loro molto sereni, ospiti di una giovane pronipote in Piemonte.
La ragazza era stata cresciuta dalle due donne e dalla bisnonna e non vedeva l’ora di poter ricambiare tutto quanto le era stato donato.
Gianna è una mia grande amica, quasi una sorella maggiore, siamo cresciute assieme, abbiamo lavorato assieme e mi ha insegnato a parlare il tedesco, cosa di cui le sarò grata tutta la vita.
Mi ha raccontato che nell’ultimo periodo poco prima di morire la nonna Mojca si alzava di notte, si vestiva e voleva uscire per venire ad aiutarci, a volte faceva fatica a farle capire dov’era , che ora fosse e quanto fossimo lontani.
Ora quella casa è chiusa, Gianna ci viene solo per qualche giorno all’anno, ma è meglio così, speriamo tutti che non la vendano.
Io in particolare spero che Gianna possa venire più spesso, quando sarà in pensione e magari potremo programmare qualcosa insieme, cose che stiamo rimandando da almeno venticinque, no a pensarci bene, quasi trent’ anni. Progetti a lungo termine, allungano la vita.

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