sabato 11 ottobre 2008

Qualche anno fa/ In Andalusia/ Scuola di ospitalità


Però pensandoci bene, è bello andare in un paese straniero sapendo di trovare un punto d’appoggio, qualcuno che conosci e che ti tratta come un amico.
Anche a me è capitata un’esperienza del genere, quell’unica volta che sono andata a Jerez.
Veronica era in Andalusia per il progetto Erasmus, con l’Università.
Ha insistito molto perché andassimo a trovarla, abbiamo capito poi che le interessava sapere le nostre impressioni sull’Andalusia, su un certo signor Salvador e su un suo remoto, molto remoto, assolutamente non preoccupante, progetto di rimanere lì a trascorrere il resto della sua esistenza.
Per noi era una bella vacanza.
Avremmo volato per la prima volta, saremmo partiti con le due piccole e avremmo fatto scalo anche a Londra, insomma tantissime esperienze nuove per noi. Non mi vergogno a dire che era la prima volta che volavo: la mia vita era trascorsa molto intensamente e non era rimasto molto spazio per i viaggi, ma la cosa non mi mancava assolutamente. Avevo semplicemente altre priorità, il tutto era sempre rimandato a tempi futuri. L’insistenza di Veronica è stata provvidenziale, avremmo rimandato all’infinito.
A Jerez ho cercato di muovermi da sola. Non mi sono mai piaciuti i gruppi organizzati ed anche se il nostro era un gruppo piccolo, io ho bisogno dei miei tempi e dei miei momenti di riflessione per riuscire veramente a rilassarmi e a fare una vera vacanza. Per fortuna la mia famiglia mi capisce, non insistono a muoversi sempre tutti insieme.
Giuditta ed io siamo rimaste in hotel, mentre gli altri sono andati a Gibilterra , a Siviglia, a Cadice. Giuditta ha un’allergia al polline e in quella zona ventosa il cocktail di pollini era in continuo movimento, in modo particolare man mano che ci si spostava in direzione dell’Atlantico.
Siamo rimaste lì intorno e ci siamo divertite molto, proprio perché non eravamo due turiste e riuscivamo a mescolarci alla gente del posto.
Siamo entrate in una gelateria a metà pomeriggio, era quasi vuota, c’era solo una coppia in un tavolo tondo in fondo. Fuori era molto caldo, avevamo percorso una di quelle stradine strette dove non c’è tanta gente e l’avevamo vista per caso, una vetrina ad angolo. Dentro era molto bella, tanti specchi e tanti colori, e c’era una notevole scelta di gusti, per la maggior parte alla frutta.
Da fuori, dando un’occhiata prima di entrare, si poteva vedere un signore di mezz’età, con un grembiule bianco allacciato in vita, che puliva il vetro anteriore del frigorifero. Si affaccendava con molta energia, evidentemente per lui il caldo, che faceva procedere noi due al rallentatore, non era una variabile molto importante nel trascorrere la giornata.
Siamo entrate, prima Giuditta e dietro io. Il signore si è girato, ha messo tutt’e due le mani dietro la schiena e con un quasi impercettibile piegarsi in avanti, ci ha salutato, naturalmente in spagnolo.
Descrivere quel saluto non sarà facile.
Io ho avuto la netta impressione mi conoscesse, non solo, mi conoscesse bene.
L’intonazione era “ Che bene, siete tornate, piacere di vedervi!” come fossimo già state lì un’altra volta, l’anno prima o il giorno prima. Per un attimo ho pensato di conoscerlo veramente: io non ho girato molto nella mia vita, ma ho visto un sacco di gente del pianeta. Quando non c’era ancora l’autostrada, spagnoli, brasiliani, giapponesi, americani, erano clienti frequenti, arrivavano in pullmann e si mescolavano alla clientela austriaca e germanica. Li vedevi una volta e poi mai più, difficile che uno di loro potesse ricordarsi di te.
Ho concluso subito, è stata questione di qualche frazione di secondo, che questo signore, ero sicura, non avevo mai avuto il piacere di vederlo da qualche altra parte. Ciò non toglie che ho avuto la netta sensazione mi conoscesse, bellissima come impressione. Mi sono sentita praticamente a casa, ho abbassato le difese naturali che l’essere fuori dal tuo ambiente ti fa alzare in una prudente autodifesa.
Uscite da lì cercavamo un centro commerciale, sapevamo fosse nei paraggi, ma lì ogni incrocio è una rotonda con un monumento in mezzo, e a me tutte le rotonde sembravano uguali.
Il caldo a cui non eravamo abituate rendeva tutto più difficile. Ad un certo punto abbiamo chiesto ad un signore anziano, che si sorreggeva con un bastone “Scusi, ci può dire dov’è la Corte des Englais?”, ci siamo espresse in italiano, naturalmente.
Il signore aveva delle difficoltà a stare in piedi e a parlare, probabilmente aveva subito un ictus nei mesi precedenti. Mi sono pentita subito di averlo quasi importunato, aveva già le sue difficoltà a camminare. Ha fatto fatica a spiegarci che dovevamo raggiungere la seconda rotonda, dovevamo svoltare dopo quella dove ci trovavamo in quel momento.
L’ho ringraziato, era stato abbastanza semplice capirsi, nonostante le sue difficoltà d’espressione.
Ci siamo avviate verso la direzione che ci aveva indicato e abbiamo passato la prima rotonda, avviandoci alla seconda, quasi 200 metri dopo. Prima di svoltare dove ci aveva indicato, mi sono girata e il signore era ancora lì, in fondo, sotto il sole.
Quando ha visto che l’avevamo capito bene, ci ha fatto un cenno con il bastone ed ha ripreso lentamente il cammino.
Dovremmo imparare quest’atteggiamento, mi sono sentita molto meglio lì che non in tante altre occasioni qui attorno, dove ci conosciamo tutti.
Capita a volte che tu ti senta invisibile, un’entità che se c’è o non c’è è esattamente la stessa cosa.
Capita che nessuno dimostri un particolare piacere a vederti, che si dimentichi di salutarsi.
Magari forse fra noi ci conosciamo anche troppo bene, forse bisogna tenere conto di questo e delle antipatie personali.
Purtroppo però non si tratta di simpatia personale, perché è lo stesso atteggiamento che rivolgiamo anche al turista, verso il quale in teoria non dovremmo avere particolari prevenzioni.
Per noi è difficile, non siamo andalusi, c’è poco da fare.
Secoli e secoli di passaggi di predatori ci hanno reso particolarmente attenti all’arrivo dello straniero: prepariamo mentalmente la spada o la carabina per difenderci.
E’ il clima stesso che ci rende più rattrappiti, credo. Sarà dura far germogliare qualcosa che assomigli allo spirito “andaluso”, attutire la diffidenza, ci vorranno ancora un paio di generazioni.
Poi si sa che al freddo per far fiorire i germogli ci vuole più tempo.
Però, bello caldo, in Andalusia.

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