domenica 5 ottobre 2008

Marito emigrante


Ho avuto anch’io il marito emigrante, per un breve periodo.
Gino è stato in Inghilterra per un breve periodo l’anno scorso: una commessa da consegnare rapidamente e quindi la necessità di tanta manodopera specializzata.
E’ stato un assaggio di un diverso modo di vivere la famiglia. Spesso mi dicevo : ”Stasera ne parlerò con Gino, vediamo cosa ne pensa lui” e invece dovevo decidere da sola; quando capitava qualcosa di bello, una bella cosa da raccontare, una soddisfazione sul lavoro, un bel voto dei ragazzi a scuola , non potevo dividere l’emozione.
E pensare che abbiamo sempre fatto una vita molto indipendente l’uno dall’altra, lavori completamente diversi e ritmi di vita quasi opposti: a volte sembrava non ci incrociassimo neanche.
In quei giorni provavo spesso un’impressione strana: mi sembrava di voler decidere di alzare un braccio e contemporaneamente scoprire che non ce l’avevo: strana come impressione, un secondo di smarrimento.
C’era sì il telefono, e la sera cercavamo di riassumerci le cose più importanti; sicuramente aiutava, ma non era la stessa cosa.
In quel periodo ho pensato spesso alla vita delle nostre nonne: non solo la fatica del tirare avanti casa e famiglia, ma anche la mancanza di dialogo, di condivisione, di calore.
Nelle storie dell’emigrazione si parla di questi poveri, perché poveri e dignitosi erano, uomini, e poco delle loro donne.
Le mogli rimanevano sì nella loro comunità, su cui potevano contare, ma erano ugualmente sole.
E credo che a lungo andare anche i loro uomini diventassero estranei e sconosciuti: se non si invecchia assieme c’è il rischio di non riconoscersi più. Povera gente.

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