Il “lessico delle nevicate” dovrebbe essere oggetto di una ricerca socio-linguistica.
“Vengono giù fiocchi come panini” è uno dei cento modi per definire le modalità di una nevicata.
Significa cadenza lenta, i fiocchi di neve sono soffici e scendono veleggiando, con calma , e quando cadono si appoggiano delicatamente uno sull’altro creando subito un volume notevole. La coperta di neve cresce a vista d’occhio, ogni volta che appoggi lo sguardo fuori dalla finestra è più avvolgente e i suoni si attutiscono e sembra di essere in una calda ovatta.
Con una nevicata così, l’unica cosa logica da fare sarebbe quella di aspettare che finisca, davanti ad un caminetto acceso e con un paio di amici che condividano la rassegnazione o l’euforia dell’evento, magari con un bricco fumante di vin brulè e un mazzo di carte da schnaps.
“Butta di traverso” vuol dire che non si crea volume, che il vento trasporta la neve che cade e la raccoglie in mucchi scomposti, fa tanto teatro ma poca “cubatura”.
Però disturba molto: s’infila sotto la “giaccavento”, nel cappuccio, dentro le maniche, è difficile anche solo muoversi, se ce l’hai contro. L’ideale in questo caso è stare davanti ad un caminetto, meglio se acceso, sperando finisca presto.
“Forse butta in pioggia” vuol dire che la neve scende velocemente, niente volteggiamenti e voli pindarici e quando ti cade addosso non scivola via ma si scioglie e ti bagna, in breve tempo ti inzuppa.
E’ decisamente poco piacevole e assolutamente non poetica.
Dopo un po’ che sei fuori a lavorare, poter stare davanti ad un caminetto acceso, in quelle giornate, è una necessità di sopravvivenza, si tratta di atavico istinto di conservazione.
“Se continua così, butta in neve”, si dice quando nevica di continuo da una settimana, e non si sa più dove ammucchiare la neve. Ci si dedica all’ironia, poiché ormai si è già detto tutto.
“Vengono giù fiocchi come panini” è uno dei cento modi per definire le modalità di una nevicata.
Significa cadenza lenta, i fiocchi di neve sono soffici e scendono veleggiando, con calma , e quando cadono si appoggiano delicatamente uno sull’altro creando subito un volume notevole. La coperta di neve cresce a vista d’occhio, ogni volta che appoggi lo sguardo fuori dalla finestra è più avvolgente e i suoni si attutiscono e sembra di essere in una calda ovatta.
Con una nevicata così, l’unica cosa logica da fare sarebbe quella di aspettare che finisca, davanti ad un caminetto acceso e con un paio di amici che condividano la rassegnazione o l’euforia dell’evento, magari con un bricco fumante di vin brulè e un mazzo di carte da schnaps.
“Butta di traverso” vuol dire che non si crea volume, che il vento trasporta la neve che cade e la raccoglie in mucchi scomposti, fa tanto teatro ma poca “cubatura”.
Però disturba molto: s’infila sotto la “giaccavento”, nel cappuccio, dentro le maniche, è difficile anche solo muoversi, se ce l’hai contro. L’ideale in questo caso è stare davanti ad un caminetto, meglio se acceso, sperando finisca presto.
“Forse butta in pioggia” vuol dire che la neve scende velocemente, niente volteggiamenti e voli pindarici e quando ti cade addosso non scivola via ma si scioglie e ti bagna, in breve tempo ti inzuppa.
E’ decisamente poco piacevole e assolutamente non poetica.
Dopo un po’ che sei fuori a lavorare, poter stare davanti ad un caminetto acceso, in quelle giornate, è una necessità di sopravvivenza, si tratta di atavico istinto di conservazione.
“Se continua così, butta in neve”, si dice quando nevica di continuo da una settimana, e non si sa più dove ammucchiare la neve. Ci si dedica all’ironia, poiché ormai si è già detto tutto.
Mi è capitato di sentire un ospite, di quelli che hanno qui in paese la seconda casa. Era il mattino dopo una bella nevicata: eravamo a prendere il giornale, c’erano diverse persone in fila, tutti ben intabarrati perché la neve continuava a scendere.
Il signore era contrariato, direi proprio seccato, perché durante quella notte, alle tre, era stato svegliato dallo spazzaneve che passava e ripassava, “che disturbo, non si riusciva a chiudere occhio”.
C’è stato solo un breve commento, nel silenzio pesante che era seguito, uscito dalle labbra sorridenti di uno di quelli che vengono a prendere il giornale in zoccoli di legno, perché abitano lì di fronte: “Anch’io l’ho sentito, stanotte, e ho pensato -Che bene, per fortuna non ci sono io su quel camion!-, mi sono girato dall’altra parte e ho dormito come un ghiro”.
Il succo del discorso è che sarebbe interessante ed educativo passare una nottata a guidare uno di quei camion, a veder cadere neve e a doverla portare via, ore lente, con il cambio in mano, avanti e poi ancora indietro…dopo un po’ tutto diventa confuso, la neve che scende, i fiocchi che frullano,i mucchi ai lati della strada, e ancora neve che scende, dentro il caldo della cabina e fuori il mormorio sordo del motore che fatica, e il vomere davanti che sfiora i marciapiedi, e i paletti, e poi le palizzate da non urtare e il sonno, e ancora neve che ti viene contro…
Dopo aver trascorso una notte così, quando senti avvicinarsi e passare vicino a casa tua uno spazzaneve, ti addormenti come Melman, la giraffa di Madagascar, di botto.
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