Abbiamo dovuto scegliere un regalo per un cacciatore: subito ti immagini un omone rude e assetato di sangue che beve vodka a 80°. La scelta in apparenza dovrebbe essere semplice.
Mentre propongo varie cose, mi dicono chi è il destinatario, è un cacciatore di quelli che sa anche commuoversi.
La grappa non gli piace: rivivendo certe serate passate assieme ci ricordiamo che lui serve la grappa a tutti e per sé versa qualcos’altro…cos’è?
Una cosa gialla? Limoncello o qualcosa di simile. Allora bisogna regalargli un liquore dolce, butto lì l’idea del liquore di cioccolato di Modica al peperoncino, che è accolta con entusiasmo; mentre preparo la confezione regalo, parliamo di caccia.
La figura del cacciatore, l’ho imparato durante l’organizzazione della Festa della Foresta, risente in maniera incredibile di stereotipi da cui non ci si allontana.
Parlando di caccia e cacciatori ho avuto molte più difficoltà che a parlare di pesca e pescatori, anche se ambedue le categorie ci procurano del cibo che poi mangiamo volentieri.
La figura del cacciatore è vista in maniera negativa, per principio: ho avuto quest’impressione, di cui non avevo cognizione, prima.
Quando abbiamo iniziato a pensare alla Festa della Foresta a me è toccato il compito di mettere attorno ad uno stesso tavolo le varie associazioni, dai micologi fino ai filatelici, realtà molto diverse, mi immaginavo una serie di problemi di comunicazione.
Invece non è stato difficile, si tratta di gente molto costruttiva, completamente autosufficiente nell'organizzazione e propositiva in questo tipo di collaborazioni; molti di loro li conoscevo già per altri motivi, ho scoperto in quell’occasione il loro impegno volontario in settori diversi da quelli del lavoro.
Non mi sono avvicinata a quel mondo con particolari prevenzioni mentali, ma mi sono resa subito conto che attorno al settore “caccia” c’è un muro di diffidenza e quasi di ”disgusto” che mi ha subito colpito. Qualcuno mi ha detto “….grazie, ti aiuterei volentieri, ma con i cacciatori non collaboro”.
Devo dire sinceramente che è un mondo che non conosco, con dei rituali che non ho capito e credo che non potrò capire mai.
Però sono cresciuta in un ambiente dove i preconcetti razziali, sociali, linguistici sono un bagaglio difficile da scaricare e se posso cerco di non caricarmi di altri bagagli inutili.
Quindi mi rivolgo sempre a tutte le realtà che non conosco con una decisa e conscia apertura mentale: ne faccio un punto di principio di non giudicare se non conosco, di non prendere l’erba e farne un bel fascio.
Provo a valutare quel mondo valutando le persone, prima di tutto.
I cacciatori sono stati disponibili, aperti, cordiali, collaborativi. Presi ad uno ad uno, sono persone sensibili ed educate, non violente, non prepotenti. Quelli che conosco meglio sono miei clienti e li vedo accoglienti e generosi, quando hanno ospiti a cena curano ogni dettaglio, proprio per il rispetto che all’ospite è dovuto. Anche durante la Festa della Foresta, la cerva che hanno cucinato per tutti, e la polenta e il vino che hanno offerto, erano stati scelti con l’attenzione che si riserva alle cose importanti.
Lo stereotipo del cacciatore ne viene fuori un po’ falsato: il cacciatore che ho conosciuto io è quello che ha fatto fuori il lupo per salvare Cappuccetto rosso e sua nonna, non ho ancora avuto l’avventura di incontrare Sterminator, che si muove nella boscaglia con la mitragliatrice imbracciata .
Per me forse è facile avere un atteggiamento non negativo nei loro confronti, i miei vecchi sono sicuramente sopravvissuti per mezzo della caccia.
Il bracconaggio, quella volta, era un concetto che non c’entrava niente con la legalità.
A quei tempi si mangiava il cervo. Punto. O non si mangiava niente. Si sarebbe mangiato più volentieri il pollo, ma non ce n’era. Mia nonna, una volta che avevamo del cervo per cena, ha detto “No grazie, preferirei di no, ne ho già mangiato abbastanza quand’ero giovane” ed è stata una delle poche volte che l’ho vista un po’ disgustata davanti ad una pietanza.
Certo che quei rituali che i cacciatori hanno, quel gergo per addetti ai lavori, quei mantelli verdi, possono dare fastidio, come dà sempre fastidio chi si crea una sua tribù dalla quale ti si esclude.
Penso che molta della diffidenza che si sente intorno al mondo della caccia nasca anche da questo.
Una ventina d’anni fa ho avuto il piacere di trascorrere in auto un paio d’ore alla settimana con due cacciatori, due fra quelli più presi dalla loro missione, che era quella del preservare la natura facendo una selezione, non quella di massacrare il creato.
Partivamo da Tarvisio, io ero seduta dietro e pensavo ai fatti miei e loro due, seduti davanti, fino all’arrivo non facevano che riportarsi cronache particolareggiate di battute di caccia.
Dopo un po’, volente o nolente, la cosa ti incuriosisce e impari termini nuovi. Ad esempio, bramire, io non lo sapevo, è il verso che gli ungulati fanno quando sono in amore. E’ un ululato alto, che si sente echeggiare da una parete all’altra della montagna e che è un segnale importante per i cacciatori. Molto altro di quello che dicevano non ho capito, né perché gli animali bramiscono, né perché è importante sentirlo.
Proprio il giorno dopo questa lezione di scienza venatoria, ero al lavoro,occupata nelle pulizie d’inizio stagione. Stavo pulendo, affondata per metà dentro un frigorifero di quelli per i gelati confezionati, che cercavo di pulire fino in fondo, rischiando ad ogni momento di spostare troppo il baricentro in avanti e ritrovarmi poco onorevolmente con la testa in fondo ed i piedi in alto.
Due cacciatori erano appoggiati al banco a qualche metro da me, stavano parlando già da un po’ fra loro, naturalmente l’argomento era la caccia.
Ad un certo punto ho sentito uno dei due che sosteneva che quell’anno non aveva ancora sentito i cervi.
Il loro gergo li legava, isolandoli da tutti gli altri.
Io, con la voce che usciva cavernosa dal fondo del mobile, ho accennato quasi fra me e me, che invece si era già sentito bramire in Val Bartolo, la notte precedente. Era necessario avere la pazienza di attendere fino alle quattro del mattino, per sentire qualcosa.
Il tutto continuando a strofinare lo stracio sul fondo, nascosta per metà nel frigo.
Avevo recepito in auto, il giorno prima, queste interessanti informazioni, non era evidentemente farina del mio sacco.
Non sono emersa dal frigorifero per vedere le espressioni degli addetti ai lavori: bisogna saper moderare la curiosità.
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