Gli americani trovavano naturale non si fumasse, era ovvio. Per loro ci sarebbero voluti altri divieti, dettati dal buonsenso europeo.
Il divieto di lasciare sistematicamente tutte le luci ed il televisore acceso, ad esempio. O le finestre spalancate con -15 ° all’esterno. Per noi che l’energia la acquistiamo a caro prezzo, nasce dall’educazione che ci viene impartita fin dall’asilo, il riflesso condizionato di spegnere le luci, abbassare il riscaldamento, staccare la spina agli elettrodomestici non utilizzati.
Loro non lo facevano apposta, non ci pensavano proprio, esulava dal loro stile di vita, nell’imprinting non gli era stato trasmesso il messaggio.
Fondamentalmente erano tutti clienti molto piacevoli, quasi nessuno aveva l’atteggiamento da colonizzatore. Avevano anzi un particolare rispetto per il nostro modo di vivere, comprendendo nella loro ammirazione allo stesso modo sia l’arte sia la cucina, sempre curiosi di scoprirne ogni sfaccettatura.
Esuberanti ed euforici, come credo lo saremmo stati anche noi sul Gran Canyon o visitando le cascate del Niagara (so di un gruppo di maestri di sci della valle che in Colorado si sono fatti notare, a Veil e ad Aspen se ne parla ancora di quella gita).
Fra tutti un gruppo in particolare ricordiamo spesso, sono stati con noi un’intera settimana alla fine di febbraio, il periodo migliore in inverno, qui in Valcanale.
Accompagnati da Marco, il socio del Valbruna Inn che per buona parte dell’anno vive in Colorado, erano un gruppo molto affiatato di ex sportivi, gente molto energica.
Stavano tutto il giorno sulle piste, la sera si cambiavano, una doccia e scendevano eleganti e trasformati, però senza scarpe.
Cioè , specifichiamo meglio, senza scarpe e senza calzetti, a piedi nudi, niente pantofole, finalmente liberi dopo essere stati costretti tutto il giorno negli scarponi.
Una sera ho ricevuto un messaggio perentorio sul cellulare appoggiato in reception: “Non siamo in piscina, per favore esigi un certo contegno!”, i clienti del bar non avevano trovato altro modo per esprimermi il loro disappunto e per farmi sapere che non gradivano lo spettacolo: si inizia così e poi si finisce ad organizzare delle serate con le cubiste, bisogna darsi delle regole.
Le loro abitudini alimentari erano legate molto agli stereotipi: spaghetti, pizza, difficile proporre cose molto innovative.
Una sera, a cena, in menù c’era anche del coniglio: c’è stato un mormorio, quasi come quello che ha prodotto la mia proposta di portare in tavola del cavallo ad una comitiva di inglesi.
Si guardavano fra loro credendo di non aver capito, ho cercato di spiegarmi meglio. “ Bugs Bunny”, ho accennato alle orecchie di un coniglio, la mimica delle cameriere è molto creativa.
Quando sono riuscita finalmente a farmi capire ho compreso subito che forse sarebbe stato meglio non riuscirci. Niente coniglio, per favore: le espressioni inorridite che avevo davanti erano le stesse che avrei prodotto se avessi proposto del gatto, cotto da vivo nel forno, a una comitiva di italiani.
Durante il loro soggiorno in Valcanale si sono divertiti molto, hanno girato quasi tutti i ristoranti e gli agriturismo della valle, lasciando dappertutto un bel ricordo.
Marco aveva loro spiegato che ogni gruppo, per dirsi tale, in Italia usa avere un proprio motto, qualcosa che lo distingua . Il motto andava pronunciato in coro, a voce alta, ogni volta che si entrava in un bar o in un ristorante.
La frase che Marco aveva proposto era breve, in lingua friulana ed era un conciso ed accorato inno alla fertilità femminile.
Se ne parla ancora di questi che entravano e tutti insieme sulla porta esordivano con questa frase che, per essere un motto funzionava benone: finita l’esibizione, tutti i presenti sorridevano molto accoglienti e tanti addirittura ridevano.
Oltre al profondo significato propiziatorio, bello era l’effetto della pronuncia friulano/americana, veramente pittoresca.
L’ultimo giorno Marco ha finalmente spiegato loro il vero significato dell’inno del gruppo, hanno riso tantissimo, ero presente alla scena e ho visto spalancarsi le loro espressioni in un’ilarità incontenibile.
Ad ogni buon conto il cerimoniale è continuato, imperterriti lo hanno eseguito anche in autogrill, fino in aeroporto: però è stato un vero peccato che al Marco Polo di Venezia la frase risuonasse in una lingua straniera e non producesse più quel caldo effetto di accoglienza cui si erano abituati in Valcanale.
Il divieto di lasciare sistematicamente tutte le luci ed il televisore acceso, ad esempio. O le finestre spalancate con -15 ° all’esterno. Per noi che l’energia la acquistiamo a caro prezzo, nasce dall’educazione che ci viene impartita fin dall’asilo, il riflesso condizionato di spegnere le luci, abbassare il riscaldamento, staccare la spina agli elettrodomestici non utilizzati.
Loro non lo facevano apposta, non ci pensavano proprio, esulava dal loro stile di vita, nell’imprinting non gli era stato trasmesso il messaggio.
Fondamentalmente erano tutti clienti molto piacevoli, quasi nessuno aveva l’atteggiamento da colonizzatore. Avevano anzi un particolare rispetto per il nostro modo di vivere, comprendendo nella loro ammirazione allo stesso modo sia l’arte sia la cucina, sempre curiosi di scoprirne ogni sfaccettatura.
Esuberanti ed euforici, come credo lo saremmo stati anche noi sul Gran Canyon o visitando le cascate del Niagara (so di un gruppo di maestri di sci della valle che in Colorado si sono fatti notare, a Veil e ad Aspen se ne parla ancora di quella gita).
Fra tutti un gruppo in particolare ricordiamo spesso, sono stati con noi un’intera settimana alla fine di febbraio, il periodo migliore in inverno, qui in Valcanale.
Accompagnati da Marco, il socio del Valbruna Inn che per buona parte dell’anno vive in Colorado, erano un gruppo molto affiatato di ex sportivi, gente molto energica.
Stavano tutto il giorno sulle piste, la sera si cambiavano, una doccia e scendevano eleganti e trasformati, però senza scarpe.
Cioè , specifichiamo meglio, senza scarpe e senza calzetti, a piedi nudi, niente pantofole, finalmente liberi dopo essere stati costretti tutto il giorno negli scarponi.
Una sera ho ricevuto un messaggio perentorio sul cellulare appoggiato in reception: “Non siamo in piscina, per favore esigi un certo contegno!”, i clienti del bar non avevano trovato altro modo per esprimermi il loro disappunto e per farmi sapere che non gradivano lo spettacolo: si inizia così e poi si finisce ad organizzare delle serate con le cubiste, bisogna darsi delle regole.
Le loro abitudini alimentari erano legate molto agli stereotipi: spaghetti, pizza, difficile proporre cose molto innovative.
Una sera, a cena, in menù c’era anche del coniglio: c’è stato un mormorio, quasi come quello che ha prodotto la mia proposta di portare in tavola del cavallo ad una comitiva di inglesi.
Si guardavano fra loro credendo di non aver capito, ho cercato di spiegarmi meglio. “ Bugs Bunny”, ho accennato alle orecchie di un coniglio, la mimica delle cameriere è molto creativa.
Quando sono riuscita finalmente a farmi capire ho compreso subito che forse sarebbe stato meglio non riuscirci. Niente coniglio, per favore: le espressioni inorridite che avevo davanti erano le stesse che avrei prodotto se avessi proposto del gatto, cotto da vivo nel forno, a una comitiva di italiani.
Durante il loro soggiorno in Valcanale si sono divertiti molto, hanno girato quasi tutti i ristoranti e gli agriturismo della valle, lasciando dappertutto un bel ricordo.
Marco aveva loro spiegato che ogni gruppo, per dirsi tale, in Italia usa avere un proprio motto, qualcosa che lo distingua . Il motto andava pronunciato in coro, a voce alta, ogni volta che si entrava in un bar o in un ristorante.
La frase che Marco aveva proposto era breve, in lingua friulana ed era un conciso ed accorato inno alla fertilità femminile.
Se ne parla ancora di questi che entravano e tutti insieme sulla porta esordivano con questa frase che, per essere un motto funzionava benone: finita l’esibizione, tutti i presenti sorridevano molto accoglienti e tanti addirittura ridevano.
Oltre al profondo significato propiziatorio, bello era l’effetto della pronuncia friulano/americana, veramente pittoresca.
L’ultimo giorno Marco ha finalmente spiegato loro il vero significato dell’inno del gruppo, hanno riso tantissimo, ero presente alla scena e ho visto spalancarsi le loro espressioni in un’ilarità incontenibile.
Ad ogni buon conto il cerimoniale è continuato, imperterriti lo hanno eseguito anche in autogrill, fino in aeroporto: però è stato un vero peccato che al Marco Polo di Venezia la frase risuonasse in una lingua straniera e non producesse più quel caldo effetto di accoglienza cui si erano abituati in Valcanale.
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