giovedì 2 ottobre 2008

Un papillon a Villach


Qualche ospite ci è rimasto caro nel cuore, di qualcuno abbiamo un ricordo ironico, pochi sono quelli che sono passati inosservati.
Era il luglio 2003, un caldo asfissiante in tutta Italia, qui da noi la sera si usciva finalmente senza golfino.
Una telefonata per prenotare due camere per una settimana, non più a lungo, possibilmente due camere fresche.
“No, non abbiamo l’aria condizionata, ma non ce n’è bisogno, glielo assicuriamo”. La prenotazione è confermata.
La prima volta che ho visto l’architetto era spossato, pallido e magro, era appena sceso dall’auto ed era seduto al lato dell’ ingresso del giardino, su una delle panchine in legno sull'erba. Aveva bisogno di riprendere aria dopo quel viaggio massacrante, è rimasto lì seduto alcuni minuti.
Noi quattro ci siamo guardate negli occhi, il messaggio era “sarà dura”. Poi le bombole di ossigeno, la sdraio morbida, la trota al vapore a cena. In un paio di giorni quell’uomo sfinito, che dalla carta d’identità mi sorrideva indossando con naturalezza un bellissimo papillon, si stava pian piano rasserenando.
E’ rimasto con noi tre settimane, diceva di essere ingrassato di due chili, ma credo lo dicesse per farci contente. E’ ripartito perché ricominciava un altro ciclo di chemioterapia, altrimenti credo che avrebbe fatto continuare ancora quel limbo.
Lo accompagnava la sua deliziosa signora, una docente universitaria con l’eleganza innata delle antiche donne veneziane. Era diventato un rito, per noi due, passare insieme qualche minuto ogni mattina, alle sette il caffè servito al caldo del sole del terrazzo, lei con la sua sigaretta e io a farle compagnia, perché a stare fuori a fumare da soli sembra di essere messi in castigo.
Un giorno l’architetto era veramente giù , non c’era verso di trarne un sorriso. “Mi piacerebbe comprarmi un papillon, quando sono così mi aiuta”.
A Tarvisio non si trovano papillons, abbiamo caricato armi e bagagli sul mio doblò arancione e siamo andati fino a Villach, un giro in città. Il papillon lo abbiamo trovato quasi subito, mi dispiace ma ho dimenticato il colore, era in seta.
Durante il viaggio di ritorno il mio ospite sembrava più rilassato, credo fingesse per non farci preoccupare più.
Quando l’architetto e la professoressa erano arrivati era ancora bassa stagione, poi da un giorno all’altro è cambiata l’atmosfera, l’albergo si è riempito, famiglie e bambini soprattutto. L’architetto era abituato a pranzare in silenzio, nella tranquillità della sala. Da un giorno all’altro tutto era cambiato: confusione, il tono delle voci più alto, andirivieni continuo.
Durante una cena mi ha fatto un cenno discreto col capo . Al tavolo vicino una bimba stava sbattendo il cucchiaio sul seggiolone, mentre la sua tata cercava di infilargli in bocca della pastina. Mi ha fatto chinare fino al suo orecchio e mi ha sussurrato “Gentile signora, io di secondo nome farei Erode ”.
Da quella sera ha consumato in serenità i suoi pasti in biblioteca e ai bambini che mi chiedevano se quel signore era stato cattivo e per questo l’avevo messo a mangiare da solo, dicevo di sì e che era meglio stargli molto lontano.
Sono partiti lasciandoci una prenotazione per la primavera successiva. A cadenza settimanale arrivava una cartolina postale, disegnata a mano e con un breve messaggio; col passare del tempo i colori erano sempre più cupi e le diciture più rassegnate.
Poi un mattino presto ho ricevuto una telefonata: una voce femminile mi comunica che Lorenzo è mancato, è la sua segretaria, e mi dice che si era raccomandato di avvertirci quando sarebbe successo.
Un attimo di panico … Lorenzo chi? Come potevo chiederle di chi mi stava parlando? “ Mi dispiace molto, la ringrazio di averci avvisato; c’è scritto anche sul giornale?” “Se acquista il Corriere di oggi ci sono i necrologi”.
Mezza pagina di necrologi sul Corriere della Sera, noi non l’avevamo mai chiamato Lorenzo, per noi era l’Architetto, non immaginavamo fosse un famoso urbanista.
Non era importante chi fosse quand’era a Valbruna, era un uomo che aveva bisogno di trovare un po’ di pace.

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