sabato 20 giugno 2009

Care Signore/ Jole Cappellari

Tutto quello che ho imparato sull' Ustock me lo ha insegnato la signora che sta qua sopra in foto. Siamo andate insieme a raccoglierlo, ridendo e scherzando come al solito, con il fiatone.
Anche in questa foto sembra stia per scoppiare nella sua contagiosa e allegra risata.
Jole è una delle signore che fanno parte della carrellata di donne del libro "Care Signore": prima ci conoscevamo abbastanza ma dopo quell'intervista i rapporti fra noi sono cambiati, è nata una confidenza da sorelle e da lei ho imparato tante cose.
Durante l'intervista ad un certo punto ha pianto ricordando l'infanzia e poi sua madre, che era appena mancata. Quel giorno mi è venuto il dubbio che forse, scavare nei ricordi e portare a a galla un vissuto amaro, possa fare più male che bene a una persona. Poi, la sua gratitudine per aver cercato di descriverla con tutta la sua ricchezza di valori, con tutta la sua forza fisica e la sua capacità organizzativa, mi ha aiutato a superare i sensi di colpa.

Jole Cappellari

La sua storia
Nasce nel 1948 a Tolmezzo. La sua famiglia si trasferisce in Valcanale, da Dogna dove vivevano, nel 1953. Non ha ricordi precedenti a quando è arrivata a Camporosso, i suoi primi ricordi sono ambientati a Zamline, quattro case poste all’ inizio del sentiero che porta al Monte Lussari,
isolate dal resto del paese. E’ la terza di cinque figli, dopo la quinta elementare è necessario cercare un lavoro e Jole non può scegliere, si
accetta il primo che arriva. Ha fortuna, la cercano subito e lavora a Tarvisio, nella Antica Trattoria Raibl. Passa quindi dall’infanzia all’età adulta senza vivere l’adolescenza, cosa che una volta succedeva spesso. Dalla signora Breic impara a lavorare, apprende velocemente ed è una cameriera affabile e svelta. Se la ricordano bene gli impiegati che pranzavano lì, infilava un commento ironico ad ognuno, riusciva a prendere in giro tutti, sempre correndo. Rimane fino a quando la signora decide di cedere l’azienda. Jole ha un desiderio inespresso: non vorrebbe lavorare nei giorni di festa e neanche alla sera fino a tardi. Cerca un lavoro diverso, ha il coraggio di rimettersi in gioco.
La cercano perché c’è bisogno di una commessa. All’assunzione il suo
ruolo è indefinito: inizia dalle pulizie e sale i vari gradini di specializzazione. In breve le viene affidata la responsabilità del reparto
ferramenta, un tempio del sapere maschile. Impara tutto sull’attrezzatura per falegnameria, idraulica, impiantistica. Gestisce il magazzino, negli ultimi anni deve avvicinarsi all’informatica, lo fa con titubanza, ma la necessità aguzza l’ingegno e riesce “a dare dei punti” anche ai suoi giovani colleghi.

Una passione
Il suo lavoro. Si ritiene fortunata, “al mattino mi alzavo ed andavo al lavoro con entusiasmo”, le è sempre piaciuto quello che faceva e ne ha ricavato grandi soddisfazioni.
Era una sfida continua: la gestione di un
magazzino con migliaia di articoli di settori diversi, la professionalità nelle scelte per non rimanere senza materiali, che per gli artigiani locali sarebbero stati indispensabili, e allo stesso tempo l’attenzione a non caricare troppo le giacenze, che sarebbero state un peso per il suo titolare. Il suo luogo di lavoro era nel seminterrato, e sembrava fosse
proprio casa sua. I clienti scendevano la scala e già dal passo Jole capiva con chi avrebbe avuto a che fare e soprattutto qual’era l’umore della giornata. “Psicologia ferramentistica”dice. Ogni giorno viveva il contatto diretto con gli artigiani della valle, gente dal carattere deciso, sarebbe meglio dire burbero, ma che una volta che ti ha dato la sua fiducia ti rispetta senza riserve.
E questo rispetto è palpabile anche oggi: dopo anni di pensione, clienti e rappresentanti quando la incontrano per caso la baciano “parte per
parte, e mi dicono che manco tanto ”.

Era poi interessante l’arrivo degli artigiani del week-end, quelli
del bricolage casalingo e dalla terminologia poco usuale. Scendevano le scale con allegria per chiedere le cose più incredibili, senza sapere bene quello che volevano. “Un signore voleva una chiave storta fatta
così e per farsi capire è arrivato anche con un disegno. Gli ho dovuto dire che avrebbe dovuto produrla da solo
”.
Era comunque sottinteso e universalmente riconosciuto che Jole sapesse tutto e risolvesse ogni tuo problema.
A volte doveva farsi valere con chi non la conosceva bene “sai, pensavano che una signora non potesse capire molto di rondelle”. E a volte a qualcuno capitava di sentirsi un po’ stupido, quando risaliva quella scala.

Un pensiero
Da giovane si vergognava quasi a dire che aveva studiato solo fino alla quinta elementare, oggi lo dice con orgoglio. Ha lavorato per trent’anni in un settore specialistico, parlando lo sloveno ed il tedesco, utilizzando computer e attrezzature sofisticate. Sa che non è un diploma che dà l’autorevolezza, quello che ha imparato è merito suo ed il rispetto che si è guadagnata in valle è uno dei riconoscimenti più grandi.

Un ricordo
“Non avrei potuto fare quello che ho fatto se non ci fosse stata mia madre”. Sua madre, che quasi si sentiva in colpa per aver dovuto far lavorare i suoi figli così presto, poichè lei era stata ammalata e la famiglia ne aveva sofferto. Jole dava tutte le sue energia al lavoro, tornava a casa e trovava il pranzo pronto, “mi lavavo le mani e mi
sedevo a tavola
”, lo dice come fosse stato un privilegio.




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